giovedì 27 settembre 2012

LIBERA MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO ED EFFICACIA DELLA PENA - IL CASO SALLUSTI




Ieri pomeriggio la Suprema Corte di Cassazione ha confermato la condanna a quattordici di reclusione per l’ex direttore di “Libero” (oggi direttore de “Il Giornale”) Alessandro Sallusti.
Il giudizio si riferisce ad una vicenda che ha avuto inizio nel febbraio del 2007.
Una bambina, di soli 13 anni, rimasta incinta del fidanzatino di 15, abortisce, in un ospedale di Torino.
La piccola, rimasta orfana e adottata all’età di 8 anni, ha dietro le spalle, secondo quanto riferiscono le cronache, un’infanzia molto difficile.
I genitori adottivi si separano dopo pochi anni dall’adozione.
La giovane, non è chiaro se a seguito delle insistenze della madre, sottoscrive i moduli con i quali chiede l’intervento.
Il fatto che i genitori siano separati e che il padre, non informato della situazione, non possa dare il suo consenso, impone, in applicazione delle leggi vigenti, che il giudice tutelare - in questo caso quello di Torino - valuti la situazione, i motivi della decisione della minore e, qualora li ritenga validi, conceda, a quest’ultima, l’autorizzazione a decidere in autonomia. In sostanza, il Magistrato, in questi casi, preso atto della volontà della minore e del genitore consenziente (la madre), concede l’autorizzazione sostituendo l’altro genitore (il padre).
Alcuni giornali hanno raccontato la vicenda con toni commossi ed opportunamente sommessi.
Sul quotidiano “Libero”, allora diretto da Alessandro Sallusti, uscì un editoriale, firmato “Dreyfus”, nel quale si leggeva: «il magistrato ha ordinato un aborto coattivo» e «Se ci fosse la pena di morte, se mai fosse applicabile, questo sarebbe il caso. Al padre, alla madre, al dottore e al giudice”.
Il giudice tutelare che aveva concesso l’autorizzazione, sebbene non citato esplicitamente nell’articolo, ha querelato, per diffamazione a mezzo stampa, il direttore responsabile del quotidiano.
L’Associazione Culturale PARTECIPAZIONE (così come il sottoscritto Troglodita che ne fa parte) nella propria attività culturale e sociale si ispira (come è precisato anche in sede di presentazione sul sito) ai principi sanciti nella Costituzione della Repubblica Italiana e nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Nelle fondamentali Carte è affermato il diritto fondamentale alla libera manifestazione del pensiero.
Non è per caso, infatti, che l’Associazione ha salutato con entusiasmo, nell’ottobre scorso, il ritorno in edicola del settimanale satirico “il Male” che è stato, probabilmente, il più censurato della storia della Repubblica italiana.
E’ fuori di dubbio, quindi, l’incondizionato sostegno di chi scrive, e sicuramente dell’Associazione Culturale PARTECIPAZIONE, a qualsiasi proposta di legge mirata ad eliminare la comminazione della pena della reclusione a carico di chi si rende responsabile della violazione (a maggior ragione quando la responsabilità è solo di posizione ed imputata di diritto) delle norme mirate a contemperare il diritto alla libera manifestazione del pensiero con quello, non meno importante, a non essere diffamati.
Detto questo, ritengo necessarie alcune precisazioni sulla vicenda e sull’ipotesi di opportune modifiche normative.
Per quanto concerne i fatti, è opportuno chiarire che la Magistratura, nei tre gradi di giudizio, ha accertato la falsità dell’affermazione che il Giudice Tutelare avesse “ordinato” l’aborto.
Il Giudice ingiustamente “accusato” si era dichiarato pronto a rimettere la querela in cambio di ventimila euro da devolvere all’Associazione “Save The Children”. Da parte del quotidiano e del suo ex direttore non risulta sia mai stato scritto un rigo di scuse diretto al Magistrato.
Si urla all’ingiustizia ed alla illiberalità (non senza motivo) della legge italiana in materia, ma si “dimentica” che editrice dei quotidiani di cui Alessandro Sallusti è stato ed è direttore è la famiglia del Presidente del Consiglio che ha governato per 18 degli ultimi 20 anni l’Italia e che avrebbe potuto, come ha dimostrato in diverse molteplici occasioni, proporre agevolmente le opportune modifiche di legge.
Peraltro, risultano stridenti le “vittimistiche” dichiarazioni di Sallusti di voler rinunciare alla scorta di cui ha, giustamente, fruito negli ultimi due anni, con l’evocazione della “pena di morte” da applicare, qualora fosse legislativamente prevista, nei confronti “del padre, della madre, del dottore e del giudice”, della bambina.
Hanno riflettuto, almeno per un attimo, nella redazione di “Libero” sul rischio cui venivano esposte le persone indicate nella lista dei “colpevoli” dell’evento, soprattutto in un Continente nel quale, negli ultimi tempi, non sono mancati i tragici effetti del fanatismo di qualsiasi ispirazione? Le teorie, sostenute per anni, sui nefasti influssi che hanno esercitato sulla società i c.d. “cattivi maestri” avevano un fondamento o costituivano meri strumenti di lotta politica? Le affermazioni relative alla “pericolosità delle parole” quanto spazio hanno trovato nei loro pensieri quando decisero di pubblicare l’articolo?
Per quanto riguarda le modifiche normative necessarie per evitare la comminazione del carcere per il reato di “diffamazione a mezzo stampa” che, indubbiamente, incide sulla libertà di manifestazione del pensiero, credo sia indispensabile farle precedere da un’attenta riflessione sull’efficacia della pena prevista a tutela della dignità ed onorabilità dell’ingiustamente offeso e sul rispetto del principio fondamentale di uguaglianza.
Mi spiegherò ponendo due quesiti.
In quale misura potrebbe essere difesa la dignità di una persona qualora la legge prevedesse, nell’ipotesi di reato, la sola sanzione pecuniaria e protagonista della violazione fosse un giornalista molto abbiente o che lavora alle “dipendenze” di un editore dotato di rilevantissimi mezzi economici che lo utilizzasse per campagne di stampa contro i propri avversari e lo garantisse nel pagamento delle sanzioni (provvedendo al suo posto)?
In quale misura sono garantiti il diritto alla libera manifestazione del pensiero e quello di uguaglianza qualora un giornalista indipendente (free lance) o che lavora per una testata “povera” si trovi ad essere citato in giudizio (in sede civile) con richieste di risarcimento, anche infondate, per un milione di euro?
L’urgenza di evitare all’attuale direttore de “Il Giornale” il carcere, determinata anche dalle dichiarazioni secondo le quali rifiuterà l’affidamento ai servizi sociali, rischia di provocare l’emotiva (e demagogica?) approvazione di modifiche normative che, sostanzialmente, potranno comportare la violazione di diversi diritti fondamentali della persona e non solo di uno.

Roma, 27 settembre 2012                                                          il Troglodita