RIFLESSIONI ESTIVE SULL’OPERATO DEL “GOVERNO MONTI”, L’EQUITA’ DELLA
SUA AZIONE ED I REALI SCOPI PERSEGUITI.
Al momento del suo insediamento
il governo presieduto dal prof. Mario Monti, nonostante dovesse affrontare una
crisi senza precedenti, ha enfatizzato molto l’equità che avrebbe
caratterizzato la sua azione riparatrice. Opportuno, pertanto, sarebbe stato,
innanzitutto, tener presenti quali categorie di cittadini avevano già
particolarmente sofferto gli effetti di una crisi iniziata come finanziaria e
trasformatasi ben presto in economica.
Nonostante le diffidenze nei
confronti del governo, dovute, soprattutto, al ceto di provenienza dei suoi
componenti, era tale la disperazione per quanto si stava vivendo e presente la
vergogna, anche internazionale, per
l’”attività” di quello precedente che è, comunque, parso, alla maggior
parte degli italiani, che si fosse intrapresa la via per uscire da un incubo.
In parte questo è stato vero.
Innegabile, peraltro, è stato anche il recupero di un qualche ruolo nella
politica europea ed internazionale del nostro Paese. Le credibilità
internazionali (e, in particolare, negli ambienti della finanza e
dell’economia) personali del Presidente della BCE Mario Draghi e del nuovo
Presidente del Consiglio Mario Monti hanno indubbiamente garantito un qualche
respiro.
Nessuno, infatti, può dimenticare
gli umilianti “baciamano” a Gheddafi seguiti dalle bombe (la Francia ha
utilizzato le proprie bombe per sostituirci, quale partner privilegiato della
Libia, nell’acquisto del petrolio; noi le abbiamo utilizzate, confusamente, per
tentare di ricoprire un qualche ruolo); le penose lamentele, durante un summit internazionale, rivolte dall’ex
presidente del Consiglio al Presidente degli Stati Uniti; la sottoscrizione di
un impegno a conseguire il pareggio di bilancio entro il 2013 mentre avremmo
potuto ottenere di farlo entro il 2014; gli insulti degli ex ministri contro l’opposizione ed i
non allineati; le passeggiate di esponenti del governo, con maiale al
guinzaglio, costate care agli italiani; etc.
Il bilancio sull’equità delle
misure intraprese, però, è stato, almeno finora, del tutto negativo.
Non è facile capire quanto sia
stato dovuto all’urgenza di reperire risorse (e la lotta all’evasione fiscale
non avrebbe potuto dare, in tal senso, i necessari risultati immediati), agli
equilibri della complessa maggioranza che sostiene l’attuale Governo o alla
difficoltà di una comprensione reale, e non solo intellettuale, da parte dei
componenti di quest’ultimo, dell’estremo disagio nel quale versano gli strati
poveri della popolazione e l’ex ceto medio.
Nei fatti, però, di equità se ne
è respirata davvero poca.
La patrimoniale è stata esclusa e
le uniche misure indirizzate in tal senso hanno colpito, una volta di più, l’ex
ceto medio; la ricchezza è stata esaltata come un fattore positivo da
preservare all’interno del Paese ma non altrettanto si è detto o fatto nei
confronti del lavoro e della sopravvivenza delle persone.
Senz’altro encomiabile è stata la
misura che ha dichiarato onorari tutti gli incarichi presso enti non
istituzionalmente previsti, ma non basta.
L’aspetto che preoccupa è
rappresentato dal gioco a carte coperte che sta conducendo il Governo.
Nelle dichiarazioni esso è teso a
riattivare un processo di “crescita”, nei fatti, mira ad ottenere gli effetti
di una svalutazione che, in presenza di una moneta unica, non gli è possibile
realizzare.
Attraverso la strisciante e sistematica
minaccia di licenziamento dei lavoratori dipendenti, si vogliono indurre questi
ultimi ad accettare, per disperazione, condizioni di lavoro e di salario
inaccettabili (si scusi l’apparente bisticcio di parole). In tal modo, pur
senza procedere ad un’impossibile ordinaria svalutazione, si ritiene che gli
effetti raggiunti saranno analoghi.
Se si pone tale ultimo obiettivo
al centro dell’azione del governo, infatti, vedremo che le tessere del mosaico
troveranno una loro logica collocazione, viceversa, se cerchiamo di inserirle
in una regia mirata alla “crescita” ci accorgeremo che non è possibile trovare l’incastro.
E’ vero che per evitare di essere
impiccati al cappio del pareggio di bilancio è necessario reperire urgentemente
risorse certe e che la strada più facile da percorrere per farlo è,
sicuramente, quella di dragare, per quanto possibile, il risparmio privato e,
fino all’inverosimile, i salari, ma è altrettanto innegabile che le misure
messe in campo sono recessive e che contrastano, incontrovertibilmente, con
ogni ventilata ipotesi di crescita.
Ci è stato raccontato che per
contenere la spesa pubblica e non essere costretti ad aumentare, subito
(nessuna garanzia è stata data per i successivi sei mesi), l’IVA di due punti
sarà necessario ridurre del 20% il numero dei dirigenti pubblici e del 10%
quello degli altri dipendenti del pubblico impiego.
Si pensa veramente che una tale
“terroristica” misura non produrrà l’effetto di ridurre ulteriormente e drasticamente
la domanda interna? Le centinaia di migliaia di persone che sentono a rischio
il proprio presente, oltre che il proprio futuro, saranno, forse, propense a
spendere? L’effetto non sarà ancora più dirompente rispetto all’ipotesi di
aumentare l’IVA di due punti (senza considerare l’ipotesi di farlo nei
successivi sei mesi)? Quale potrà essere l’inevitabile contraccolpo sulle
piccole imprese che operano in ambito locale?
E’ stato anche affermato che, in
tal modo, si vuole ridurre la spesa “improduttiva”.
Il Ministro dello Sviluppo
Economico Corrado Passera ha dichiarato che l’Amministrazione Pubblica Centrale
(statale) non è dotata di organici sovrabbondanti (in sostanza i dipendenti
occupati sono quelli necessari per farla funzionare), aggiungendo, poi,
un’affermazione sorprendente e molto significativa: è, tuttavia, necessario che
si proceda anche in essa al “taglio” dei dipendenti “per dare l’esempio”.
Se non fossimo certi, come siamo,
che il Ministro Passera è un uomo intelligente, brillante e pieno di buon
senso, saremmo indotti a pensare che si tratti delle dichiarazioni di uno
psicopatico.
Cosa significa “dare l’esempio”,
tagliando posti di lavoro (necessari per un regolare funzionamento della
macchina statale) e gettando famiglie intere nelle disperazione quando ciò non
è necessario?
E’ in questo modo che si vuole
riavviare un sano processo di crescita?
Il Presidente del Consiglio Mario
Monti, peraltro, ha dichiarato, alcuni mesi fa, che ogni euro investito nell’Agenzia
delle Entrate (Ente che subirà i “tagli”) produceva, per le casse statali, un
ritorno di quattro euro.
Come si concilia questa
affermazione con i presunti tagli alla “spesa improduttiva” considerato,
peraltro, che le “consulenze” esterne subirebbero, secondo il piano, una
riduzione del solo 20%?
Per quanto riguarda il pubblico
impiego, inoltre, è necessario sottolineare che il numero dei dipendenti
pubblici per abitanti è perfettamente in linea con la media dei valori
riscontrabili negli altri Paesi europei.
Quanto alla produttività
individuale, invece, è doveroso riconoscere che essa ci colloca all’ultimo
posto rispetto agli altri grandi Paesi del Continente. E’, tuttavia, altrettanto
necessario sottolineare che allo stesso risultato negativo (ultimo posto) ci relega la produttività dei dipendenti
privati italiani.
Chiunque abbia visto all’opera
dipendenti, privati o pubblici, italiani e dipendenti stranieri, però, avrà,
sicuramente, riscontrato (al di là di folkloristici stereotipati luoghi comuni)
che i primi, sia per preparazione, sia per operosità, non sono peggiori dei
secondi. Dove risiede allora il problema? Perché i nostri lavoratori risultano
meno produttivi?
Senza voler indagare nei pur
conosciuti “meccanismi” che regolano le posizioni e gli incarichi nel mondo del
lavoro nostrano e senza voler dimenticare il peso della corruzione (che tutto
corrompe e rovina), punterei l’indice su tre fattori: il proliferare di leggi
(e conseguenti provvedimenti di attuazione) spesso incoerenti e mal scritte (in
Italia superiamo abbondantemente le 300.000 mentre negli altri grandi Paesi
europei siamo nell’ordine di qualche decina di migliaia) che rendono difficile
il lavoro di chi deve applicarle ed elefantiaca la burocrazia, il ritardo,
soprattutto in alcuni settori (per esempio, la giustizia),
nell’informatizzazione e l’inadeguatezza dei locali in cui risiedono le
strutture.
E’ chiaro che i mezzi a
disposizione del lavoratore possono “fare la differenza”. A chiunque abbia
frequentato un tribunale del lavoro (che dovrebbe garantire un procedimento più
rapido rispetto a quello ordinario), per esempio, non sarà certamente sfuggita
la condizione da “terzo mondo” nel quale operano i magistrati ed i pochi
dipendenti amministrativi che li coadiuvano (locali inadeguati, archivi privi,
spesso, di supporti informatici). Come possiamo paragonare la produttività di
quei dipendenti del Ministero della Giustizia con quelli di altri Paesi senza
tener conto di tali fattori?
Lo Stato non rimborsa
tempestivamente i contribuenti per i crediti fiscali maturati, è colpa della
scarsa produttività dei dipendenti o della “burocrazia” (parafulmine generico
dietro al quale si nascondono debolezze di sistema che andrebbero analizzate
singolarmente ed approfonditamente a cominciare dai problemi creati da
un’inadeguata produzione legislativa) oppure del fatto che non sono messe a
disposizione degli uffici deputati alla restituzione le risorse necessarie?
Troppo facile ed abusata è, poi,
la strategia di porre in contrasto i lavoratori pubblici con quelli privati.
Basterebbe, probabilmente, un minimo di impegno per conoscere le realtà
reciproche per capire quanto falsi siano alcuni luoghi comuni (senza, per
questo, voler minimamente giustificare o proteggere i corrotti o quanti,
volutamente, tengono condotte parassitarie) e altrettanto funzionali
all’occultamento delle reali distorsioni ed al successo di personali interessi
antagonisti (es. richieste di consulenze del tutto inutili o nomine di alti
dirigenti privi dei requisiti necessari a ricoprire l’incarico). Qualcuno
ricorda, in proposito, le dichiarazioni del celebrato manager FIAT Sergio
Marchionne in occasione dell’”imposizione” (grazie anche alla complice assenza
del precedente Governo dalla funzione riequilibratrice delle posizioni
contrattuali) del nuovo contratto di lavoro “differenziato” per i lavoratori
dello stabilimento di Pomigliano d’Arco?
In quel frangente, affermò che il
“nuovo modello” (mutuato forse da quelli in vigore nei primi anni della c.d.
rivoluzione industriale) sarebbe stato applicato al solo stabilimento campano
in ragione del significativo maggiore “assenteismo” che si registrava in esso
rispetto agli altri impianti presenti sul territorio nazionale.
In brevissimo tempo, il “modello
Pomigliano d’Arco” è stato esteso (imposto) agli altri stabilimenti nazionali.
Nella giornata di ieri, il Ministro
per i rapporti con il Parlamento Patroni Griffi ha dichiarato che
risulterebbero essere presenti, nel pubblico impiego (probabilmente si riferiva
all’Amministrazione Centrale), circa undicimila “esuberi”. Tale dato
sembrerebbe sia stato ricavato dal rapporto tra le piante organiche e gli
attuali impiegati. Taglieremo di più dove maggiore è lo squilibrio e meno dove
risultano carenze di organico, ha dichiarato. Peccato che nella Legge n. 87 del
2012 (se non ricordo male) sia disposto che, ai fini della riduzione del
personale, le “piante organiche” sulle quali effettuare i “tagli” siano
rappresentate dai dipendenti che sono attualmente in servizio indipendentemente
da qualsiasi rapporto con i carichi di lavoro individuali e collettivi (o con
le ultime reali “piante organiche”, redatte in base alle funzioni da svolgere,
ai servizi da erogare ed ai carichi di lavoro e dalle quali possono risultare
le “eccedenze” o le “carenze” effettive di personale). Mentre sostanziosi dubbi
si possono nutrire sui fini realmente perseguiti dalla strategia messa in campo
per riavviare la “crescita”, non si possono sollevare altrettante perplessità
sull’efficacia fuorviante di quella comunicativa posta in essere dall’attuale
Governo e sull’assenza, pressoché totale, di equità nelle misure da esso messe
in campo.
Per concludere, anche se non
pertinente, voglio richiamare l’attenzione sull’ostinato impegno profuso, in
questi giorni, dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) per screditare gli
interventi, in aiuto dell’euro, che sta ponendo in essere la Banca Centrale
Europea (BCE). Dopo aver minacciato, nei giorni scorsi, di escluderla anche
dalla “troika” che si sarebbe dovuta
recare in Grecia per “verificare l’operato” di tale martoriato Paese, sta
adoperandosi, con continue dichiarazioni “al vetriolo” per convincere “i
mercati” che le manovre di alcuni Stati e delle Istituzioni europee (BCE in
testa) non avranno gli sbocchi sperati. Qualche malpensante, potrebbe
intravedere un’analogia delle sue intempestive e, spesso, non del tutto fondate
valutazioni con i “pareri” emessi dalle
tre, ormai famose (purtroppo) compagnie di rating americane. Sembrerebbe che
alcuni “Organismi” internazionali abbiano “scommesso” sul fallimento dell’euro
e dell’area di riferimento.
E’ molto strano in confronto,
peraltro, il pochissimo clamore (non ho sentito nemmeno la voce dell’Unione
Europea, forse per distrazione), soprattutto in relazione alla portata della
“scoperta”, che sta avendo lo scandalo della fissazione manipolata del LIBOR (London
Interbank Offered Rate - tasso interbancario su Londra che costituisce un
riferimento per i mercati finanziari). Si tratta, in sostanza, del tasso
variabile giornaliero, calcolato, dalla British Bankers' Association, sulla base dei tassi
d'interesse richiesti per cedere a prestito depositi in una determinata moneta
(tra cui l’euro) da parte delle più importanti banche presenti sul mercato
interbancario della “City”.
E’ intuitivo il ruolo che possa
aver giocato e possa rivestire un’alterazione arbitraria dell’equilibrio sul
valore reale delle diverse divise sulla crisi finanziaria dell’area euro.
Nel ritornare al Fondo Monetario
Internazionale, nell'articolo 1 dell'”Accordo Istitutivo” sono definiti quelli
che dovrebbero essere i suoi scopi. Fra gli altri figurano: promuovere la
cooperazione monetaria internazionale; promuovere la stabilità e l'ordine dei
rapporti di cambio evitando svalutazioni competitive; dare fiducia agli Stati
membri rendendo disponibili con adeguate garanzie le risorse del Fondo per
affrontare difficoltà della bilancia dei pagamenti; abbreviare la durata e
ridurre la misura degli squilibri delle bilance dei pagamenti degli Stati
membri. In sostanza, il F.M.I. dovrebbe regolare la convivenza economica e
favorire i Paesi in via di sviluppo.
Sarei curioso di sapere quanti
siano coloro che leggendo gli scopi indicati nel citato articolo 1 e
considerando le dichiarazioni degli ultimi giorni (mirate palesemente a minare
la fiducia nella ripresa di Paesi quali l’Italia e la Spagna e,
conseguentemente, di tutta l’area euro) provenienti dall’FMI abbia ravvisato un
coerente perseguimento dei primi (con particolare attenzione agli ultimi due
obiettivi).
Oltre che procedere alla rapida
costituzione di un’agenzia di rating europea (così come ha fatto la Cina) ed a
ripensare all’indisturbata centralità che la piazza inglese ricopre per la
finanza internazionale, sarebbe opportuno, probabilmente, rimettere in
discussione il ruolo del Fondo Monetario Internazionale o, almeno, l’operato
dei suoi vertici in occasione dell’attuale crisi economica e finanziaria.