Ieri pomeriggio la Suprema Corte
di Cassazione ha confermato la condanna a quattordici di reclusione per l’ex
direttore di “Libero” (oggi direttore de “Il Giornale”) Alessandro Sallusti.
Il giudizio si riferisce ad una
vicenda che ha avuto inizio nel febbraio del 2007.
Una bambina, di soli 13 anni,
rimasta incinta del fidanzatino di 15, abortisce, in un ospedale di Torino.
La piccola, rimasta orfana e adottata
all’età di 8 anni, ha dietro le spalle, secondo quanto riferiscono le cronache,
un’infanzia molto difficile.
I genitori adottivi si separano
dopo pochi anni dall’adozione.
La giovane, non è chiaro se a
seguito delle insistenze della madre, sottoscrive i moduli con i quali chiede
l’intervento.
Il fatto che i genitori siano
separati e che il padre, non informato della situazione, non possa dare il suo
consenso, impone, in applicazione delle leggi vigenti, che il giudice tutelare
- in questo caso quello di Torino - valuti la situazione, i motivi della
decisione della minore e, qualora li ritenga validi, conceda, a quest’ultima,
l’autorizzazione a decidere in autonomia. In sostanza, il Magistrato, in questi
casi, preso atto della volontà della minore e del genitore consenziente (la
madre), concede l’autorizzazione sostituendo l’altro genitore (il padre).
Alcuni giornali hanno raccontato
la vicenda con toni commossi ed opportunamente sommessi.
Sul quotidiano “Libero”, allora
diretto da Alessandro Sallusti, uscì un editoriale, firmato “Dreyfus”, nel
quale si leggeva: «il magistrato ha ordinato un aborto coattivo» e «Se ci fosse la pena di morte, se mai fosse
applicabile, questo sarebbe il caso. Al padre, alla madre, al dottore e al
giudice”.
Il giudice tutelare che aveva
concesso l’autorizzazione, sebbene non citato esplicitamente nell’articolo, ha
querelato, per diffamazione a mezzo stampa, il direttore responsabile del
quotidiano.
L’Associazione Culturale
PARTECIPAZIONE (così come il sottoscritto Troglodita che ne fa parte) nella
propria attività culturale e sociale si ispira (come è precisato anche in sede
di presentazione sul sito) ai principi sanciti nella Costituzione della
Repubblica Italiana e nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Nelle fondamentali Carte è
affermato il diritto fondamentale alla libera manifestazione del pensiero.
Non è per caso, infatti, che l’Associazione
ha salutato con entusiasmo, nell’ottobre scorso, il ritorno in edicola del
settimanale satirico “il Male” che è stato, probabilmente,
il più censurato della storia della Repubblica italiana.
E’ fuori di dubbio, quindi,
l’incondizionato sostegno di chi scrive, e sicuramente dell’Associazione
Culturale PARTECIPAZIONE, a qualsiasi proposta di legge mirata ad eliminare la comminazione
della pena della reclusione a carico di chi si rende responsabile della
violazione (a maggior ragione quando la responsabilità è solo di posizione ed
imputata di diritto) delle norme mirate a contemperare il diritto alla libera
manifestazione del pensiero con quello, non meno importante, a non essere
diffamati.
Detto questo, ritengo necessarie
alcune precisazioni sulla vicenda e sull’ipotesi di opportune modifiche
normative.
Per quanto concerne i fatti, è
opportuno chiarire che la Magistratura, nei tre gradi di giudizio, ha accertato
la falsità dell’affermazione che il Giudice Tutelare avesse “ordinato”
l’aborto.
Il Giudice ingiustamente
“accusato” si era dichiarato pronto a rimettere la querela in cambio di ventimila
euro da devolvere all’Associazione “Save The Children”. Da parte del
quotidiano e del suo ex direttore non risulta sia mai stato scritto un rigo di
scuse diretto al Magistrato.
Si urla all’ingiustizia ed alla
illiberalità (non senza motivo) della legge italiana in materia, ma si
“dimentica” che editrice dei quotidiani di cui Alessandro Sallusti è stato ed è
direttore è la famiglia del Presidente del Consiglio che ha governato per 18
degli ultimi 20 anni l’Italia e che avrebbe potuto, come ha dimostrato in
diverse molteplici occasioni, proporre agevolmente le opportune modifiche di
legge.
Peraltro, risultano stridenti le
“vittimistiche” dichiarazioni di Sallusti di voler rinunciare alla scorta di
cui ha, giustamente, fruito negli ultimi due anni, con l’evocazione della “pena
di morte” da applicare, qualora fosse legislativamente prevista, nei
confronti “del padre, della madre, del dottore e del giudice”, della
bambina.
Hanno riflettuto, almeno per un
attimo, nella redazione di “Libero” sul rischio cui venivano esposte le persone
indicate nella lista dei “colpevoli” dell’evento, soprattutto in un Continente
nel quale, negli ultimi tempi, non sono mancati i tragici effetti del fanatismo
di qualsiasi ispirazione? Le teorie, sostenute per anni, sui nefasti influssi che
hanno esercitato sulla società i c.d. “cattivi
maestri” avevano un fondamento o costituivano meri strumenti di lotta
politica? Le affermazioni relative alla “pericolosità delle parole” quanto
spazio hanno trovato nei loro pensieri quando decisero di pubblicare l’articolo?
Per quanto riguarda le modifiche
normative necessarie per evitare la comminazione del carcere per il reato di “diffamazione
a mezzo stampa” che, indubbiamente, incide sulla libertà di
manifestazione del pensiero, credo sia indispensabile farle precedere da
un’attenta riflessione sull’efficacia della pena prevista a tutela della
dignità ed onorabilità dell’ingiustamente offeso e sul rispetto del principio
fondamentale di uguaglianza.
Mi spiegherò ponendo due quesiti.
In quale misura potrebbe essere
difesa la dignità di una persona qualora la legge prevedesse, nell’ipotesi di
reato, la sola sanzione pecuniaria e protagonista della violazione fosse un
giornalista molto abbiente o che lavora alle “dipendenze” di un editore dotato di
rilevantissimi mezzi economici che lo utilizzasse per campagne di stampa contro
i propri avversari e lo garantisse nel pagamento delle sanzioni (provvedendo al
suo posto)?
In quale misura sono garantiti il
diritto alla libera manifestazione del pensiero e quello di uguaglianza qualora
un giornalista indipendente (free lance) o che lavora per una
testata “povera” si trovi ad essere citato in giudizio (in sede civile) con
richieste di risarcimento, anche infondate, per un milione di euro?
L’urgenza di evitare all’attuale
direttore de “Il Giornale” il carcere, determinata anche dalle dichiarazioni
secondo le quali rifiuterà l’affidamento ai servizi sociali, rischia di
provocare l’emotiva (e demagogica?) approvazione di modifiche normative che,
sostanzialmente, potranno comportare la violazione di diversi diritti
fondamentali della persona e non solo di uno.