martedì 7 luglio 2015

L’Europa che non c’è


La “crisi greca”, qualora ce ne fosse stato bisogno, ha puntato la luce dei riflettori ancora una volta sulle contraddizioni e le debolezze di ciò che viene chiamata Unione Europea.

Il Parlamento europeo, con i nostri rappresentanti eletti solamente lo scorso anno, non ha alcuna voce in questo come in altri capitoli. A tirare le fila dovrebbe essere la Commissione Europea, organismo non elettivo ma nominato dai governi degli stati membri (e già qui esplodono tutte le storture del sistema) anche se poi, nella realtà quotidiana, sono i primi ministri di Germania e Francia a dirigere le sorti di quella che viene “coraggiosamente” chiamata la politica europea con le sue scelte perlopiù esclusivamente economiche. E se non bastasse, poiché si tratta di quattrini, vanno tenute più che presenti le volontà delle due altre istituzioni-attrici che tutte insieme formano la cosiddetta troika.

Aldilà di tutto ciò che si può scrivere nel bene e nel male della Grecia, della presunta immensa evasione fiscale dei suoi cittadini, dei suoi bilanci falsati utilizzati per entrare nell’Unione (due elementi, questi, su cui noi italiani dovremmo solamente tacere), resta la realtà di un paese severamente colpito da una crisi economica i cui sacrifici (perché di sacrifici ne sono stati fatti) forse hanno solo peggiorato la situazione.

Purtroppo nelle carte costituzionali dei paesi europei si è preferito scrivere che il bilancio dello stato deve chiudersi in pareggio piuttosto che porre la solidarietà a fondamenta delle società.

Il referendum ellenico può essere l’occasione, oltre che per risolvere politicamente la crisi finanziaria e debitoria del paese, per riscrivere l’Europa e i suoi trattati. L’occasione per farne un vero continente di popoli, pace, democrazia e progresso. La strada è ancora lunga e difficile ma è il momento di avere il coraggio di riprendere con decisione il cammino o di salutarsi e abdicare passivamente alle leggi dei pil e delle crescite economiche infinite e insostenibili dettate da altri.

venerdì 16 gennaio 2015

NON SONO D'ACCORDO CON PAPA FRANCESCO

Finalmente, perché finora è successo molto raramente, non sono d’accordo con le parole pronunciate da Papa Francesco.
Ieri, in un colloquio avuto con i giornalisti, durante il viaggio aereo che lo portava a Manila, il Papa ha detto, tra l’altro, ”La religione non può mai uccidere, non si può farlo in nome di Dio, ma non si può deridere la fede altrui” precisando, poi, che non si può provocare né prendere in giro la religione di un altro e, con un esempio, che “se il mio amico Gasbarri dice una parolaccia sulla mia mamma, si aspetti un pugno” perché è normale.
Naturalmente, condivido pienamente l’affermazione secondo la quale non si può uccidere in nome di Dio o di una religione, così come, a mio parere, non si può farlo per nessun altro motivo (sono assolutamente contrario alla pena di morte) con l’unica eccezione della legittima (proporzionata all’offesa ed inevitabile quindi) difesa.
Le restanti parole pronunciate dal Santo Padre, invece, le ritengo sbagliate per due motivi.
Il primo, relativo alla situazione particolare, stabilisce un rapporto inappropriato di causa-effetto fra la pubblicazione delle vignette sul giornale satirico ed il massacro, laddove, tutte le indagini svolte hanno dimostrato, inequivocabilmente, che la programmazione di una serie di attentati contro “gli infedeli” ed il Mondo Occidentale non trova origine nei disegni. Semmai, l’influenza che questi ultimi possono aver avuto è quella di aver calamitato l’attenzione dei criminali e di aver trasformato in bersagli gli autori e l’intera redazione del giornale.
Il desiderio di “martirio”, espressa in più occasioni dagli attentatori, non lascia alcun dubbio. Nel loro delirante proposito, che ha trasformato in veri martiri involontari della libertà di pensiero e di espressione le proprie vittime e loro in disumani sanguinari carnefici, è certo che i tre assassini francesi non avrebbero avuto alcuna difficoltà ad individuare, nella loro mente turbata, altri obiettivi nemici.
Del resto, proprio questa mattina, si è parlato di un possibile inserimento del Colosseo fra gli oggetti di futuri attentati e, francamente, mi riesce difficile immaginare che tale monumento possa costituire, in qualche modo, un insulto per la fede islamica.
In secondo luogo, ritengo che sia proprio dalle limitazioni delle libertà di pensiero e di espressione che germoglino gli integralismi e l’intolleranza. Non credo, infatti, che possano esistere piani diversi dalla ragione che siano capaci di garantire il rispetto e la civile convivenza, né che si possano individuare forme di censura o di autocensura, su piani diversi, idonee ad evitare che coloro che si credono esclusivi portatori di Verità possano non sentirsi offesi od insultati nella loro fede o nei propri sentimenti da alcunché. Come non ricordare, in proposito, la recente polemica sulla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche o nei locali pubblici? Come sarebbe possibile stabilire, poi, ciò che deve essere oggetto di “tutela” dalla libertà di pensiero ed espressione e quello che può non esserlo? Nell’accettare delle limitazioni, inoltre, non correremmo forse il rischio che lo sviluppo di ulteriori “sensibilità” ne richieda di nuove? Nella trasmissione radiofonica “La Zanzara”, di ieri sera, il conduttore Giuseppe Cruciani, da ateo dichiarato, si chiedeva per quale motivo, ad esempio, i Vegani potrebbero essere oggetto di satira ed alcuni esponenti religiosi o profeti no. Gli esempi potrebbero essere molteplici e, sul punto, mi trovo d’accordo.
Non possiamo trascurare, peraltro, che sono proprio alcune pretese di ottenere la limitazione della libertà di espressione da parte di fedeli soprattutto di religioni monoteiste, che fanno crescere l’irritazione di molti cittadini occidentali, in quanto vissute come atto di intollerabile arroganza, e favoriscono spesso la fomentazione di forme di inaccettabile razzismo.
Capisco, infine, oltre alle ragioni “politiche” (rappresentate dalle difficoltà vissute dai Cristiani in alcuni territori a prevalenza islamica) che possono essere alla base delle citate dichiarazioni di Papa Bergoglio, il Suo invito ad opporre l’”arma” della mitezza contro la violenza bruta e la prevaricazione, pronunciato confidando che essa possa illuminare le menti di quanti si possano sentire affascinati dalle parole inneggianti alla guerra “santa”. Tuttavia, nel ricordare che Lui stesso è stato costretto, in qualche misura, a chiedere un “intervento” ai Paesi occidentali in difesa dei perseguitati cristiani in diverse parti del Mondo, mi chiedo quale efficacia potrebbe dispiegare una tale resistenza contro i delinquenti di Boko Haram (non mi sembra, peraltro, che le ragazze e le bambine rapite non fossero miti o che disegnassero vignette satiriche) o contro il califfato dell’Isis (nemmeno gli Yazidi, perseguitati e massacrati, risulta che abbiano esercitato violenze o provocato in alcun modo le milizie jihadiste ed i loro ispiratori, salvo il caso in cui la professione di una fede diversa possa essere ritenuta un’offesa).
                                                                                              Gianfranco Serio