La “crisi greca”, qualora ce ne fosse stato bisogno, ha puntato la luce
dei riflettori ancora una volta sulle contraddizioni e le debolezze di ciò che
viene chiamata Unione Europea.
Il Parlamento europeo, con i nostri rappresentanti eletti solamente lo
scorso anno, non ha alcuna voce in questo come in altri capitoli. A tirare le
fila dovrebbe essere la Commissione Europea, organismo non elettivo ma nominato
dai governi degli stati membri (e già qui esplodono tutte le storture del
sistema) anche se poi, nella realtà quotidiana, sono i primi ministri di
Germania e Francia a dirigere le sorti di quella che viene “coraggiosamente”
chiamata la politica europea con le sue scelte perlopiù esclusivamente
economiche. E se non bastasse, poiché si tratta di quattrini, vanno tenute più
che presenti le volontà delle due altre istituzioni-attrici che tutte insieme
formano la cosiddetta troika.
Aldilà di tutto ciò che si può scrivere nel bene e nel male della
Grecia, della presunta immensa evasione fiscale dei suoi cittadini, dei suoi
bilanci falsati utilizzati per entrare nell’Unione (due elementi, questi, su
cui noi italiani dovremmo solamente tacere), resta la realtà di un paese
severamente colpito da una crisi economica i cui sacrifici (perché di sacrifici
ne sono stati fatti) forse hanno solo peggiorato la situazione.
Purtroppo nelle carte costituzionali dei paesi europei si è preferito
scrivere che il bilancio dello stato deve chiudersi in pareggio piuttosto che
porre la solidarietà a fondamenta delle società.
Il referendum ellenico può essere l’occasione, oltre che per risolvere
politicamente la crisi finanziaria e debitoria del paese, per riscrivere l’Europa
e i suoi trattati. L’occasione per farne un vero continente di popoli, pace,
democrazia e progresso. La strada è ancora lunga e difficile ma è il momento di
avere il coraggio di riprendere con decisione il cammino o di salutarsi e abdicare
passivamente alle leggi dei pil e delle crescite economiche infinite e
insostenibili dettate da altri.