venerdì 28 ottobre 2011

QUALE RAGIONE ESISTE PER CONSERVARE IL PATTO SOCIALE SUL QUALE E’ FONDATO LO STATO?

Attraverso un becero gioco delle parti si è arrivati all’attacco finale nei confronti dei lavoratori dipendenti, degli artigiani e dei piccoli imprenditori.
Nella “letterina” presentata a Bruxelles da Silvio Berlusconi, infatti, sono presenti le armi letali da usare contro i diritti faticosamente conquistati dai lavoratori nell’Italia post-fascista.
Con un documento non approvato dal Parlamento né esaminato preventivamente dal Presidente della Repubblica (e nemmeno firmato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze), il presidente del consiglio, il ministro delle riforme ed il ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, coadiuvati da qualche altro brillante esponente della cannibale intellighenzia italiana, hanno impegnato la stragrande maggioranza dei cittadini, sprofondati ormai nel disagio, a pagare il colossale debito accumulato negli anni (l’attuale coalizione di governo, comunque, ha guidato il Paese per nove degli ultimi undici anni e Confindustria, Confcommercio e sindacati confederali vari hanno “concertato”, nello stesso periodo, più o meno su tutto).
“Abbiamo” vissuto al di sopra delle possibilità” pontificano alcuni.
Ancora una volta suona improprio questo uso della prima persona plurale del presente del verbo avere.
La costante perdita del potere di acquisto dei redditi di lavoratori dipendenti e degli artigiani, negli ultimi 25 anni, è la risposta che non necessita di precisazioni (qualcuno ricorda quando si sosteneva che tutto il problema era rappresentato dalla c.d. “scala mobile”?).
In uno Stato devastato dal precariato - diffuso attraverso la metodica introduzione di una malintesa flessibilità - hanno deciso che è necessario, per “la stabilità” (di chi?), eliminare i diritti dei lavoratori.
I nuovi schiavi saranno consegnati, inermi, allo strapotere dei datori di lavoro.
L’abrogazione e dell’articolo 18 della L. 300 del 1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori) e, come sembra, dell’articolo 1 della L. 604 del 1966 avranno questo effetto.
In una società nella quale si invocano le regole per disciplinare anche l’intimità delle persone, si vuole attuare una deregulation selvaggia che inciderà su un fattore determinante per la loro stessa sopravvivenza.
Non una riga è contenuta nel documento di Bruxelles a proposito di imposizioni patrimoniali o tassazioni di rendite. Dove sono, poi, i tagli ai “mestieranti della politica” e la lotta all’evasione fiscale?
Si parla, nel preambolo, di un’Italia che ha sempre rispettato gli impegni assunti; peccato non venga chiarito che coloro i quali, da anni, realizzano i profitti e godono di privilegi sono altri rispetto a coloro che li pagano ed a cui è addossato il peso dei sacrifici.
Esistono italiani diversi in dipendenza delle occasioni e delle circostanze.
Chi, da sempre, garantisce i servizi, anche ai “furbi”, è, ancora una volta, depredato del reddito, dei diritti e della dignità.
Molteplici le responsabilità e le complicità in questo disastro.
Il governo attualmente in carica ha ostentato una posizione di neutralità nel conflitto (la conflittualità di interessi che deve essere composta nei contratti è connaturata a questi ultimi e quando una delle parti mira a restringere i diritti legati alla dignità di condizione dell’altra assume i connotati della barbarie) fra imprenditori e lavoratori facendo venire meno quella funzione di sostegno, per la parte naturalmente più debole, che era necessario a garantire un equilibrio di posizioni; i sindacati confederali si sono preoccupati di garantirsi la gestione dei fondi pensione più che di salvaguardare gli interessi dei “rappresentati”.
In proposito, Raffaele Bonanni (CISL), Luigi Angeletti (UIL) e Susanna Camusso (CGIL) farebbero cosa gradita se rassegnassero le dimissioni. I primi due per aver, celatamente (ma non troppo), supportato questo governo liberticida ed affamatore, salvo poi abbaiare alla luna con minacce donchisciottesche e la terza per aver sottoscritto (ma aveva il mandato del sindacato per farlo?) con una “classe dirigente” palesemente inadeguata, inaffidabile e rapace, un documento insidioso e generico.
Puntuali come una condanna, peraltro, arrivano le dichiarazioni, di cui non sentivamo alcuna mancanza, dell’ineffabile prof. Pietro Ichino che, dal suo universo virtuale, ci spiega che il licenziamento per “motivi economici” non deve essere un tabù e che tutto dipenderà da come sarà realizzato.
Tuonano le stesse trombe che hanno aperto il trionfale ingresso alla disastrosa “flessibilità”.
Qualcuno, peraltro, ricorda Sergio Cofferati quando affermava che l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori era un caposaldo del diritto alla dignità dell’uomo tranne, poi, invitare i cittadini a disertare il referendum che intendeva estenderlo ai lavoratori dipendenti da imprese che occupano meno di 15 dipendenti?
Hanno accusato spesso chi difendeva i diritti di miope conservazione mentre loro, arroganti innovatori del nulla e progressisti del privilegio, erano proiettati verso il futuro.
Risultato: stanno per restaurare un sistema vigente all’inizio del ‘900, all’era della prima industrializzazione.
Hanno combattuto l’”assistenzialismo” alle famiglie ed ai disagiati e lo hanno generosamente garantito alle “imprese”. Quante le sovvenzioni a fondo perduto? Quante le “dismissioni” (svendite) di patrimonio pubblico a favore di improbabili cordate di imprenditori nazionali?
Hanno invocato la panacea della rivoluzione liberale e dopo aver distrutto i servizi pubblici, il tessuto sociale e morale del Paese, svuotato le casse Statali e degli Enti, abbattuto i diritti dei cittadini, vengono a raccontare che il problema risiede nel fatto che, nonostante le enormi risorse assorbite, non è stata ancora realizzata.
Il problema? “Sono i falsi invalidi oppure, a scelta, i dipendenti pubblici……”
Per richiamare le enormi responsabilità che gravano sulle spalle dell’attuale governo e della classe dirigente che occupa il potere nel Paese, ormai anche in barba all’evidente dissenso popolare, non basterebbero centinaia di pagine.
E’ opportuno, per questo, sottoporre ai pazienti lettori una sola domanda: “per quale motivo la stragrande parte della popolazione italiana, vittima di precarietà e disagi insostenibili, dovrebbe continuare a mantenere in vita il “patto sociale” che è alla base di ogni società civile ma che, in questa  situazione, garantisce solo privilegi ai ricchi?”
E’ improcrastinabile l’esigenza di imbracciare, compatti, i “forconi” (metaforici!).
Iniziamo a diffondere, traendoli dai resoconti parlamentari, i nomi di coloro che voteranno a favore delle misure contenute nella devastante “letterina” ed invitiamo le vittime di questi consueti predoni ad astenersi dal votarli nuovamente ed a contestarli apertamente in qualsiasi occasione di incontro.
Spieghiamo ai disinformati, in ogni occasione, che le loro difficoltà non sono frutto del fato avverso ma di aggressive scelte egoiste.
Asteniamoci dall’acquistare i prodotti ed i servizi, di qualsiasi genere, da soggetti individuali o collettivi che sostengano, con qualsiasi modalità, i provvedimenti adottandi o altre misure capaci di negare, oggettivamente, i diritti e la dignità dei lavoratori, dei disoccupati e, più in generale, della persona umana.
Acquistiamo, fino a quando non saranno modificati gli impegni con l’Europa, solo quanto è strettamente necessario alla nostra sopravvivenza.
“Imponiamo”, a tutte le forze sindacali nazionali, la ricerca, immediata, di linee comuni di azione con le altre compagini europee ed internazionali per sostituire il profitto, attuale centro della politica della produzione e del lavoro mondiale, con la dignità ed il rispetto della persona umana.
Usiamo, soprattutto, la fantasia di cui siamo capaci e che non riusciranno mai a sottrarci per combattere, senza tregua, l’ingiustizia e per costruire un Paese ed un Mondo migliori.

domenica 16 ottobre 2011

Per una volta sono d'accordo con Nicola Porro

Ieri sera (15 ottobre 2011) ho ascoltato, alla trasmissione "In Onda" sulla 7, un intervento del giornalista di "Libero" Nicola Porro. Nel commentare i gravi avvenimenti di Roma, ha sostenuto che una responsabilità vada individuata anche nei toni che il dibattito politico ha assunto in Italia.
Per una volta, mi devo dichiarare d'accordo con lui.
Ho ricordato, infatti, l'evocazione della "guerra civile" e le accuse di "criminalità" rivolte ad alcuni Magistrati italiani da parte del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e credo che il giornalistà di "Libero" abbia peccato solo di intempestività.
L'esempio proveniente da una delle maggiori cariche dello Stato ha, senz'altro, maggiore impatto mediatico rispetto a quello che possono avere altri soggetti. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che in tali pericolose "cadute di stile" il "premier" italiano è in buona compagnia.
Gli insulti rivolti ai lavoratori precari, che pur non guadagnando decine di migliaia di euro mensili non ritengono che per sparare i "neutrini" si necessario scavare un tunnel da Ginevra al Gran Sasso (attribuendosene, peraltro, parte del merito), dal ministro Renato Brunetta o il dito medio mostrato ripetutamente dal ministro per le riforme della Repubblica Italiana Umberto Bossi non contribuiscono certo a rasserenare gli animi e ad indirizzare la dialettica politica su binari più consoni.