Puntuali, acute ed appassionate, come al solito, sono le tesi di
Andrea, Robin e Manlio che, questa volta, si sono pronunciati in materia di
finanziamento pubblico ai partiti politici.
Personalmente, pur essendo fra coloro che hanno subito il peso
dell’inganno perpetrato dai partiti politici (con esclusione dei radicali che,
da sempre, denunciano la truffa) e dai parlamentari, in quanto facente parte di
quella maggioranza che, nel 1993, ha votato contro il finanziamento pubblico,
nel blog pubblicato il 22 aprile 2012 ho volutamente evitato di sviluppare un
ragionamento ed esprimere un parere sul presupposto “finanziamento pubblico sì o no”.
I motivi alla base di tale rinvio sono stati essenzialmente due:
1) la necessità
di trovare il tempo per affrontare un problema dai contorni così ampi sul
quale, peraltro, non credo di aver ancora maturato una riflessione compiuta;
2) affrontare
l’attualità che era caratterizzata (alla pubblicazione del blog) dalla presentazione,
da parte dei partiti che sostengono l’attuale governo Monti, di una riforma per
modificare la Legge che disciplina il “rimborso
delle spese elettorali” soprattutto nella parte che concerne i controlli
sulla gestione dei fondi forfetariamente erogati dallo Stato.
E’ chiaro che, in premessa, non potevo non sottolineare l’ipocrisia di
chiamare “rimborso delle spese elettorali”
il più classico dei finanziamenti pubblici (in violazione dell’esito
referendario), così come avevo cercato di spiegare che, in quella sede, avrei
evitato di affrontare il problema dell’opportunità del predetto finanziamento.
Accetto, comunque, le critiche, peraltro garbatissime, per essere
partito dalla coda e per aver dato l’impressione di voler porre, quale tema
obbligato, la dicotomia “finanziamento
pubblico” o “finanziamento privato”.
Ferma restando la legittima determinazione nel contrastare qualsiasi
ipotesi di utilizzo del pubblico denaro per finanziare le compagini politiche
(attualmente prive, per responsabilità proprie, di minima credibilità), mi
piacerebbe stimolare, per quanto possibile, una riflessione anche su anche
altri profili:
a. sono essenziali, nelle dinamiche
democratiche, i partiti politici come noi li conosciamo o sono ipotizzabili
altre forme di organismi intermedi o, ancora, forme di democrazia diretta (come
tentate, recentemente, dagli indignados
spagnoli)?
b. Nel caso ritenessimo necessaria l’esistenza
dei partiti, quali misure si potrebbero adottare per impedire che
finiscano per essere espressione di oligarchie ristrette e rappresentino
effettivamente le idee e gli interessi della stragrande maggioranza dei
cittadini?
c. Nel caso ritenessimo ipotizzabile, invece,
la costituzione di altri organismi intermedi, quale potrebbe essere la loro
natura e quali forme organizzative e di controllo potrebbero assumere?
Nel caso si ritenga necessaria o opportuna l’affermazione di una diffusa
democrazia diretta, come potrebbe essere, per grandi linee, organizzata?
d. Uno degli sport nazionali di maggior
successo è la “caccia al colpevole”.
Spesso nel praticare questa attività siamo molto indulgenti con noi stessi e
particolarmente portati all’autocommiserazione. Ma quali sono le responsabilità
che gravano su ognuno di noi per la pigrizia, la distrazione e l’indulgente
complicità (quando non, peggio, la compiaciuta partecipazione ad episodi
minori) nei confronti del malaffare che ha corrotto il tessuto sociale e
politico nel nostro Paese?
e. Infine, allargando il discorso rispetto ai
limiti tracciati nel precedente blog, quale evento rivoluzionario potrebbe, in
questa fase di globalizzazione della finanza e del capitale, riportare il
benessere dell’individuo e della collettività al centro delle scelte delle
politiche nazionali ed internazionali?
Come potete vedere, ho preferito sottrarmi, ancora una volta, dal
manifestare un’opinione sull’interrogativo relativo all’opportunità di
impiegare risorse pubbliche nel finanziamento dei partiti. Come anticipato,
però, non ho ancora maturato un convincimento sulla preferibilità di una delle
due scelte. Mi chiedo, ad esempio, se sia logico che il mio denaro vada a
finanziare un partito che non voterei per nessun motivo al Mondo, oppure, se
sia giusto che coloro che si astengono, con convinzione e per svariate
ragioni, dal voto debbano finanziare i partiti politici.
Al contrario, però, mi chiedo pure se, apportati gli indispensabili
correttivi al sistema, il finanziamento più che destinato ai partiti sia
diretto al sostentamento ed all’affermazione di una democrazia “popolare”
(realmente fruibile da tutti) nel Paese, oppure, se ci sono, quali potrebbero essere le alternative?
L’unica strada per cambiare radicalmente il sistema credo che sia
quella rivoluzionaria e, al momento, non vedo quali forme potrebbe assumere né
quali risultati garantire.
Perché le rivoluzioni abbiano successo e siano portatrici di effettivo
ed efficace rinnovamento è necessario che siano immaginate da “visionari” e
romantici utopisti che sappiano superare ed anticipare la ragione, indirizzando
la rabbia e la disperazione sociale in senso positivo verso il perseguimento e
la realizzazione di obiettivi che la massa, spesso, percepisce solo in misura
molto confusa (e nemmeno sempre).
Al momento, ma certamente potrei
sbagliare, non mi sembra di vedere, almeno nell’italico panorama, tali
personalità. Il timore, pertanto, è che qualsiasi incontrollata esplosione di
rabbia (ripeto, in qualunque forma manifestata), priva di un progetto o di una
“visione”, possa portare a risultati disastrosi per la collettività e favorire
la reazione ed il successo di ristrettissime oligarchie “organizzate”, loro sì,
ed arroccate in difesa dei propri interessi e privilegi.
Credo, pertanto, che sia opportuno, almeno per ora, preferire il bisturi alla
clava e continuare in un percorso che conduca gli individui e le collettività
ad assumere consapevolezza di sé e degli interessi di cui sono portatori e
portatrici nonché del fondamentale ruolo che la reciproca comprensione, la
solidarietà, l’unità di intenti e la partecipazione possono giuocare contro
l’egoismo e la corruzione e per il conseguimento di un benessere giusto e
diffuso.
Roma, 30 aprile 2012
Gianfranco Serio
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