L’11 mattina u.s. ho preso il trenino, proveniente da Grotte Celoni e, dalla fermata fra la via Casilina e via di Tor Tre Teste, sono arrivato fino alle Laziali (il capolinea).
Durante il non breve percorso, ho avuto modo di constatare, guardando fuori dal finestrino, quanto fosse socialmente pesante l’impatto della crisi economico-finanziaria che, da oltre un anno, ci stringe nella sua spietata morsa.
Dove, in passato, era presente una rete di piccoli negozi e laboriose imprese (soprattutto nella tratta via di Torpignattara-Laziali) oggi è possibile trovare una sala per la raccolta delle scommesse, un compro oro, una banca, una serie di negozi cinesi (raggruppati, in particolare, nella zona del Pigneto) ed una sconcertante miriade di locali chiusi che vengono proposti in vendita o in affitto.
Qualcuno potrà giustamente obiettare che di segnali ce ne sono stati e ce ne sono tantissimi altri, probabilmente, anche più gravi ed evidenti.
E’ vero, tuttavia, lo scarso numero di attività e la tipologia degli esercizi aperti mi ha profondamente rattristato.
La domanda che mi sono posto è stata: “da dove ricominciare?”
Continuo a pensare ad un tessuto di cooperative vere (non quelle nelle quali esiste un gestore-padrone che si arricchisce e tanti sottopagati “soci”-dipendenti) che si occupino sia della produzione che della distribuzione e che, accantonato quanto necessario per i reinvestimenti, distribuiscano gli utili ai soci conseguendo il duplice risultato di garantire i necessari reinvestimenti e di evitare eccessive concentrazioni di ricchezza. Mai come in questo momento, credo sia indispensabile riequilibrare e diffondere il reddito.
Importante, peraltro, credo sia impedire la “cementificazione” selvaggia delle residue aree coltivabili. E’ estremamente preoccupante il ritmo con il quale stanno scomparendo le campagne.
Alcuni Paesi (ad esempio, la Repubblica Popolare Cinese), solitamente lungimiranti, stanno acquistando aree coltivabili nell’intero pianeta e stanno effettuando studi approfonditi per garantirsi, in futuro, adeguate risorse idriche.
Non sarà forse il caso che anche il nostro Paese, come Stato, oltre, ovviamente, a garantire la sicurezza e la salute dei cittadini, inizi a progettare il proprio futuro indirizzando le proprie attenzioni ed impegnando idonee risorse (si tratta di scegliere dove impegnare le poche disponibili) sul rifacimento delle reti idriche nazionali (evitando deleterie privatizzazioni che, come ampiamente dimostrato dall’esperienza, assicurano lauti guadagni ai privati ed ingenti costi alle casse pubbliche senza garantire alcun migliore standard di servizi per i cittadini) sull’agricoltura (comprensiva dell’acquacoltura), sulla produzione di energia (in proposito, sembra ci siano interessanti risultati provenienti da studi italiani in materia di “fusione fredda”) e sulla scuola e la ricerca?
Temo che nella confusione pubblico-privato che caratterizza l’Italia, lo Stato sia incapace di delineare, con chiarezza il proprio ruolo e che abbia, in nome degli “equilibri” garantiti dal “mercato”, abdicato alla propria funzione di guida dei destini collettivi, limitandosi spesso (e tralascio qualsiasi considerazione sulla corruzione ed il malaffare) a garantire, a spese di tutti, il benessere di imprese incapaci di avere un ruolo, o anche solo di sopravvivere autonomamente, sul mercato globale.
Nessun commento:
Posta un commento