I referendum tenutisi nel 1993 risentirono indubbiamente del momento storico in cui ebbero luogo e, anche aldilà dei fermi convincimenti personali, vollero colpire un sistema (allora il termine casta non era stato ancora coniato all’uopo) fatto di ruberie e corruzione dilagante da poco balzate agli onori della cronaca giudiziaria. Così sembrò aver termine il finanziamento pubblico dei partiti, ma l’illusione durò poche settimane solamente e l’assalto alla diligenza, come ben sappiamo, riprese con più vigore.
Il lauto foraggiamento della politica (così come gli stipendi di molti funzionari pubblici) è stato motivato nel tempo non solo dal sacro ruolo di cui sono investiti i partiti dalla nostra Costituzione, ma dal rendere i loro esponenti immuni da pressioni e corruttele.
Se il tempo è galantuomo, allora abbiamo ben visto che tale sistema si è dimostrato fallimentare, e se un tempo poteva aver senso garantire col denaro pubblico una pluralità di opinioni (e qui entrano in gioco anche le sovvenzioni alla stampa e all’informazione nel suo complesso), adesso che le forme di comunicazione sono le più varie e alla portata di chiunque voglia ascoltare una voce diversa da quella del padrone, è tempo di rendere giustizia a quel referendum sul finanziamento pubblico ai partiti che sta per compiere vent’anni e chiudere definitivamente quella che si è dimostrata una falla per la nave Italia.
La Partecipazione siamo noi. Se ci crediamo, se lo vogliamo.
1 commento:
vorrei segnalare un interessante intervento fi Massimo Fini sul blog di Grillo
http://www.beppegrillo.it/2012/04/passaparola_le/index.html?s=n2012-04-23#*mfl3*
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