L'Ex Ministro degli Interni, ora, segretario nazionale della Lega Nord ha tuonato, in questi giorni, contro l'ipotesi di votare, prima delle elezioni politiche, per il rinnovo della Giunta Regionale della Lombardia. L'argomentazione è stata che, in tal modo, si sarebbero spesi 50 milioni di euro che potevano essere risparmiati votando in un solo giorno per politiche ed amministrative.
L'apparente ragionevolezza dell'affermazione, però, si scontra con il pulpito dalla quale proviene.
Il lodato (non si capisce per quali competenze speciali) ex ministro, infatti, era in carica quando il governo di cui faceva parte decise di farci votare in giorni diversi (sperando forse che i cittadini non si recassero a bocciare le determinazioni governative contro le quali erano state raccolte le firme per i famosi referendun) per le elezioni amministrative e per i quattro referendum (Acqua pubblica, ritorno al nucleare, etc.).
Il costo del voto fissato in date diverse fu, allora, quantificato in 300 milioni.
La Lega pensa di riacquistare una pur qualche "credibilità" giocando sulla distrazione e sulla scarsa memoria degli italiani (e dei Padani, in particolare?)
venerdì 26 ottobre 2012
giovedì 18 ottobre 2012
+ IVA – IRPEF: Evviva!
Qualche giorno fa ci è caduta addosso l’ennesima legge di stabilità che
di stabile sembra contenere la sola ricerca costante dell’impoverimento
collettivo. Dopo tutti i sacrifici richiesti (e ottenuti!) proprio per
scongiurare un incremento che avrebbe ulteriormente contratto i consumi, dal
prossimo mese di luglio aumenteranno le aliquote IVA del 10 e del 21%. Un
doppio aumento, quindi, che segue quello già avvenuto su quell’aliquota IVA che
era del 20% e gli innumerevoli balzelli su carburanti, casa, addizionali… Ma
almeno avremo una riduzione sull’IRPEF! Ma solo a partire dal 2013 (forse) e
dopo che, con effetto retroattivo già per il 2012, non avremo più la
possibilità di portare in deduzione e detrazioni la totalità di tutta una serie
di spese sostenute.
Finalmente possiamo parlare di equità? Un colpo al cerchio ed uno alla
botte? I colpi ci sono ma tutti rivolti ai più poveri. Chi ha (se lo ha) un
reddito minimo (pensionati, pseudo dipendenti con salari da fame) non godrà di
alcuna riduzione IRPEF perché le rispettive detrazioni assorbono di già tale
imposta, ma vedrà aumentare il costo di moltissimi beni, anche di prima
necessità. Tra coloro, invece, che potranno usufruire dello sconto fiscale ci
saranno sicuramente tanti evasori fiscali che continuano (e continueranno) a
dichiarare un reddito decisamente inferiore a quanto incassato. Resteranno poi a
pagare per tutti, i soliti lavoratori dipendenti per i quali qualcosa poteva
essere fatto, come l’aumento delle detrazioni per lavoro dipendente, magari
graduato in misura inversamente proporzionale al reddito percepito. Ma questa,
come altri interventi possibili, sarebbe stata un’oculata scelta da “tecnici” alla
ricerca di crescita, rigore ed equità; obiettivi pienamente disattesi e derisi
da questo governo.
giovedì 27 settembre 2012
LIBERA MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO ED EFFICACIA DELLA PENA - IL CASO SALLUSTI
Ieri pomeriggio la Suprema Corte
di Cassazione ha confermato la condanna a quattordici di reclusione per l’ex
direttore di “Libero” (oggi direttore de “Il Giornale”) Alessandro Sallusti.
Il giudizio si riferisce ad una
vicenda che ha avuto inizio nel febbraio del 2007.
Una bambina, di soli 13 anni,
rimasta incinta del fidanzatino di 15, abortisce, in un ospedale di Torino.
La piccola, rimasta orfana e adottata
all’età di 8 anni, ha dietro le spalle, secondo quanto riferiscono le cronache,
un’infanzia molto difficile.
I genitori adottivi si separano
dopo pochi anni dall’adozione.
La giovane, non è chiaro se a
seguito delle insistenze della madre, sottoscrive i moduli con i quali chiede
l’intervento.
Il fatto che i genitori siano
separati e che il padre, non informato della situazione, non possa dare il suo
consenso, impone, in applicazione delle leggi vigenti, che il giudice tutelare
- in questo caso quello di Torino - valuti la situazione, i motivi della
decisione della minore e, qualora li ritenga validi, conceda, a quest’ultima,
l’autorizzazione a decidere in autonomia. In sostanza, il Magistrato, in questi
casi, preso atto della volontà della minore e del genitore consenziente (la
madre), concede l’autorizzazione sostituendo l’altro genitore (il padre).
Alcuni giornali hanno raccontato
la vicenda con toni commossi ed opportunamente sommessi.
Sul quotidiano “Libero”, allora
diretto da Alessandro Sallusti, uscì un editoriale, firmato “Dreyfus”, nel
quale si leggeva: «il magistrato ha ordinato un aborto coattivo» e «Se ci fosse la pena di morte, se mai fosse
applicabile, questo sarebbe il caso. Al padre, alla madre, al dottore e al
giudice”.
Il giudice tutelare che aveva
concesso l’autorizzazione, sebbene non citato esplicitamente nell’articolo, ha
querelato, per diffamazione a mezzo stampa, il direttore responsabile del
quotidiano.
L’Associazione Culturale
PARTECIPAZIONE (così come il sottoscritto Troglodita che ne fa parte) nella
propria attività culturale e sociale si ispira (come è precisato anche in sede
di presentazione sul sito) ai principi sanciti nella Costituzione della
Repubblica Italiana e nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Nelle fondamentali Carte è
affermato il diritto fondamentale alla libera manifestazione del pensiero.
Non è per caso, infatti, che l’Associazione
ha salutato con entusiasmo, nell’ottobre scorso, il ritorno in edicola del
settimanale satirico “il Male” che è stato, probabilmente,
il più censurato della storia della Repubblica italiana.
E’ fuori di dubbio, quindi,
l’incondizionato sostegno di chi scrive, e sicuramente dell’Associazione
Culturale PARTECIPAZIONE, a qualsiasi proposta di legge mirata ad eliminare la comminazione
della pena della reclusione a carico di chi si rende responsabile della
violazione (a maggior ragione quando la responsabilità è solo di posizione ed
imputata di diritto) delle norme mirate a contemperare il diritto alla libera
manifestazione del pensiero con quello, non meno importante, a non essere
diffamati.
Detto questo, ritengo necessarie
alcune precisazioni sulla vicenda e sull’ipotesi di opportune modifiche
normative.
Per quanto concerne i fatti, è
opportuno chiarire che la Magistratura, nei tre gradi di giudizio, ha accertato
la falsità dell’affermazione che il Giudice Tutelare avesse “ordinato”
l’aborto.
Il Giudice ingiustamente
“accusato” si era dichiarato pronto a rimettere la querela in cambio di ventimila
euro da devolvere all’Associazione “Save The Children”. Da parte del
quotidiano e del suo ex direttore non risulta sia mai stato scritto un rigo di
scuse diretto al Magistrato.
Si urla all’ingiustizia ed alla
illiberalità (non senza motivo) della legge italiana in materia, ma si
“dimentica” che editrice dei quotidiani di cui Alessandro Sallusti è stato ed è
direttore è la famiglia del Presidente del Consiglio che ha governato per 18
degli ultimi 20 anni l’Italia e che avrebbe potuto, come ha dimostrato in
diverse molteplici occasioni, proporre agevolmente le opportune modifiche di
legge.
Peraltro, risultano stridenti le
“vittimistiche” dichiarazioni di Sallusti di voler rinunciare alla scorta di
cui ha, giustamente, fruito negli ultimi due anni, con l’evocazione della “pena
di morte” da applicare, qualora fosse legislativamente prevista, nei
confronti “del padre, della madre, del dottore e del giudice”, della
bambina.
Hanno riflettuto, almeno per un
attimo, nella redazione di “Libero” sul rischio cui venivano esposte le persone
indicate nella lista dei “colpevoli” dell’evento, soprattutto in un Continente
nel quale, negli ultimi tempi, non sono mancati i tragici effetti del fanatismo
di qualsiasi ispirazione? Le teorie, sostenute per anni, sui nefasti influssi che
hanno esercitato sulla società i c.d. “cattivi
maestri” avevano un fondamento o costituivano meri strumenti di lotta
politica? Le affermazioni relative alla “pericolosità delle parole” quanto
spazio hanno trovato nei loro pensieri quando decisero di pubblicare l’articolo?
Per quanto riguarda le modifiche
normative necessarie per evitare la comminazione del carcere per il reato di “diffamazione
a mezzo stampa” che, indubbiamente, incide sulla libertà di
manifestazione del pensiero, credo sia indispensabile farle precedere da
un’attenta riflessione sull’efficacia della pena prevista a tutela della
dignità ed onorabilità dell’ingiustamente offeso e sul rispetto del principio
fondamentale di uguaglianza.
Mi spiegherò ponendo due quesiti.
In quale misura potrebbe essere
difesa la dignità di una persona qualora la legge prevedesse, nell’ipotesi di
reato, la sola sanzione pecuniaria e protagonista della violazione fosse un
giornalista molto abbiente o che lavora alle “dipendenze” di un editore dotato di
rilevantissimi mezzi economici che lo utilizzasse per campagne di stampa contro
i propri avversari e lo garantisse nel pagamento delle sanzioni (provvedendo al
suo posto)?
In quale misura sono garantiti il
diritto alla libera manifestazione del pensiero e quello di uguaglianza qualora
un giornalista indipendente (free lance) o che lavora per una
testata “povera” si trovi ad essere citato in giudizio (in sede civile) con
richieste di risarcimento, anche infondate, per un milione di euro?
L’urgenza di evitare all’attuale
direttore de “Il Giornale” il carcere, determinata anche dalle dichiarazioni
secondo le quali rifiuterà l’affidamento ai servizi sociali, rischia di
provocare l’emotiva (e demagogica?) approvazione di modifiche normative che,
sostanzialmente, potranno comportare la violazione di diversi diritti
fondamentali della persona e non solo di uno.
martedì 31 luglio 2012
RIFLESSIONI ESTIVE SULL'OPERATO DEL "GOVERNO MONTI", L'EQUITA' DELLA SUA AZIONE ED I REALI SCOPI PERSEGUITI
RIFLESSIONI ESTIVE SULL’OPERATO DEL “GOVERNO MONTI”, L’EQUITA’ DELLA
SUA AZIONE ED I REALI SCOPI PERSEGUITI.
Al momento del suo insediamento
il governo presieduto dal prof. Mario Monti, nonostante dovesse affrontare una
crisi senza precedenti, ha enfatizzato molto l’equità che avrebbe
caratterizzato la sua azione riparatrice. Opportuno, pertanto, sarebbe stato,
innanzitutto, tener presenti quali categorie di cittadini avevano già
particolarmente sofferto gli effetti di una crisi iniziata come finanziaria e
trasformatasi ben presto in economica.
Nonostante le diffidenze nei
confronti del governo, dovute, soprattutto, al ceto di provenienza dei suoi
componenti, era tale la disperazione per quanto si stava vivendo e presente la
vergogna, anche internazionale, per
l’”attività” di quello precedente che è, comunque, parso, alla maggior
parte degli italiani, che si fosse intrapresa la via per uscire da un incubo.
In parte questo è stato vero.
Innegabile, peraltro, è stato anche il recupero di un qualche ruolo nella
politica europea ed internazionale del nostro Paese. Le credibilità
internazionali (e, in particolare, negli ambienti della finanza e
dell’economia) personali del Presidente della BCE Mario Draghi e del nuovo
Presidente del Consiglio Mario Monti hanno indubbiamente garantito un qualche
respiro.
Nessuno, infatti, può dimenticare
gli umilianti “baciamano” a Gheddafi seguiti dalle bombe (la Francia ha
utilizzato le proprie bombe per sostituirci, quale partner privilegiato della
Libia, nell’acquisto del petrolio; noi le abbiamo utilizzate, confusamente, per
tentare di ricoprire un qualche ruolo); le penose lamentele, durante un summit internazionale, rivolte dall’ex
presidente del Consiglio al Presidente degli Stati Uniti; la sottoscrizione di
un impegno a conseguire il pareggio di bilancio entro il 2013 mentre avremmo
potuto ottenere di farlo entro il 2014; gli insulti degli ex ministri contro l’opposizione ed i
non allineati; le passeggiate di esponenti del governo, con maiale al
guinzaglio, costate care agli italiani; etc.
Il bilancio sull’equità delle
misure intraprese, però, è stato, almeno finora, del tutto negativo.
Non è facile capire quanto sia
stato dovuto all’urgenza di reperire risorse (e la lotta all’evasione fiscale
non avrebbe potuto dare, in tal senso, i necessari risultati immediati), agli
equilibri della complessa maggioranza che sostiene l’attuale Governo o alla
difficoltà di una comprensione reale, e non solo intellettuale, da parte dei
componenti di quest’ultimo, dell’estremo disagio nel quale versano gli strati
poveri della popolazione e l’ex ceto medio.
Nei fatti, però, di equità se ne
è respirata davvero poca.
La patrimoniale è stata esclusa e
le uniche misure indirizzate in tal senso hanno colpito, una volta di più, l’ex
ceto medio; la ricchezza è stata esaltata come un fattore positivo da
preservare all’interno del Paese ma non altrettanto si è detto o fatto nei
confronti del lavoro e della sopravvivenza delle persone.
Senz’altro encomiabile è stata la
misura che ha dichiarato onorari tutti gli incarichi presso enti non
istituzionalmente previsti, ma non basta.
L’aspetto che preoccupa è
rappresentato dal gioco a carte coperte che sta conducendo il Governo.
Nelle dichiarazioni esso è teso a
riattivare un processo di “crescita”, nei fatti, mira ad ottenere gli effetti
di una svalutazione che, in presenza di una moneta unica, non gli è possibile
realizzare.
Attraverso la strisciante e sistematica
minaccia di licenziamento dei lavoratori dipendenti, si vogliono indurre questi
ultimi ad accettare, per disperazione, condizioni di lavoro e di salario
inaccettabili (si scusi l’apparente bisticcio di parole). In tal modo, pur
senza procedere ad un’impossibile ordinaria svalutazione, si ritiene che gli
effetti raggiunti saranno analoghi.
Se si pone tale ultimo obiettivo
al centro dell’azione del governo, infatti, vedremo che le tessere del mosaico
troveranno una loro logica collocazione, viceversa, se cerchiamo di inserirle
in una regia mirata alla “crescita” ci accorgeremo che non è possibile trovare l’incastro.
E’ vero che per evitare di essere
impiccati al cappio del pareggio di bilancio è necessario reperire urgentemente
risorse certe e che la strada più facile da percorrere per farlo è,
sicuramente, quella di dragare, per quanto possibile, il risparmio privato e,
fino all’inverosimile, i salari, ma è altrettanto innegabile che le misure
messe in campo sono recessive e che contrastano, incontrovertibilmente, con
ogni ventilata ipotesi di crescita.
Ci è stato raccontato che per
contenere la spesa pubblica e non essere costretti ad aumentare, subito
(nessuna garanzia è stata data per i successivi sei mesi), l’IVA di due punti
sarà necessario ridurre del 20% il numero dei dirigenti pubblici e del 10%
quello degli altri dipendenti del pubblico impiego.
Si pensa veramente che una tale
“terroristica” misura non produrrà l’effetto di ridurre ulteriormente e drasticamente
la domanda interna? Le centinaia di migliaia di persone che sentono a rischio
il proprio presente, oltre che il proprio futuro, saranno, forse, propense a
spendere? L’effetto non sarà ancora più dirompente rispetto all’ipotesi di
aumentare l’IVA di due punti (senza considerare l’ipotesi di farlo nei
successivi sei mesi)? Quale potrà essere l’inevitabile contraccolpo sulle
piccole imprese che operano in ambito locale?
E’ stato anche affermato che, in
tal modo, si vuole ridurre la spesa “improduttiva”.
Il Ministro dello Sviluppo
Economico Corrado Passera ha dichiarato che l’Amministrazione Pubblica Centrale
(statale) non è dotata di organici sovrabbondanti (in sostanza i dipendenti
occupati sono quelli necessari per farla funzionare), aggiungendo, poi,
un’affermazione sorprendente e molto significativa: è, tuttavia, necessario che
si proceda anche in essa al “taglio” dei dipendenti “per dare l’esempio”.
Se non fossimo certi, come siamo,
che il Ministro Passera è un uomo intelligente, brillante e pieno di buon
senso, saremmo indotti a pensare che si tratti delle dichiarazioni di uno
psicopatico.
Cosa significa “dare l’esempio”,
tagliando posti di lavoro (necessari per un regolare funzionamento della
macchina statale) e gettando famiglie intere nelle disperazione quando ciò non
è necessario?
E’ in questo modo che si vuole
riavviare un sano processo di crescita?
Il Presidente del Consiglio Mario
Monti, peraltro, ha dichiarato, alcuni mesi fa, che ogni euro investito nell’Agenzia
delle Entrate (Ente che subirà i “tagli”) produceva, per le casse statali, un
ritorno di quattro euro.
Come si concilia questa
affermazione con i presunti tagli alla “spesa improduttiva” considerato,
peraltro, che le “consulenze” esterne subirebbero, secondo il piano, una
riduzione del solo 20%?
Per quanto riguarda il pubblico
impiego, inoltre, è necessario sottolineare che il numero dei dipendenti
pubblici per abitanti è perfettamente in linea con la media dei valori
riscontrabili negli altri Paesi europei.
Quanto alla produttività
individuale, invece, è doveroso riconoscere che essa ci colloca all’ultimo
posto rispetto agli altri grandi Paesi del Continente. E’, tuttavia, altrettanto
necessario sottolineare che allo stesso risultato negativo (ultimo posto) ci relega la produttività dei dipendenti
privati italiani.
Chiunque abbia visto all’opera
dipendenti, privati o pubblici, italiani e dipendenti stranieri, però, avrà,
sicuramente, riscontrato (al di là di folkloristici stereotipati luoghi comuni)
che i primi, sia per preparazione, sia per operosità, non sono peggiori dei
secondi. Dove risiede allora il problema? Perché i nostri lavoratori risultano
meno produttivi?
Senza voler indagare nei pur
conosciuti “meccanismi” che regolano le posizioni e gli incarichi nel mondo del
lavoro nostrano e senza voler dimenticare il peso della corruzione (che tutto
corrompe e rovina), punterei l’indice su tre fattori: il proliferare di leggi
(e conseguenti provvedimenti di attuazione) spesso incoerenti e mal scritte (in
Italia superiamo abbondantemente le 300.000 mentre negli altri grandi Paesi
europei siamo nell’ordine di qualche decina di migliaia) che rendono difficile
il lavoro di chi deve applicarle ed elefantiaca la burocrazia, il ritardo,
soprattutto in alcuni settori (per esempio, la giustizia),
nell’informatizzazione e l’inadeguatezza dei locali in cui risiedono le
strutture.
E’ chiaro che i mezzi a
disposizione del lavoratore possono “fare la differenza”. A chiunque abbia
frequentato un tribunale del lavoro (che dovrebbe garantire un procedimento più
rapido rispetto a quello ordinario), per esempio, non sarà certamente sfuggita
la condizione da “terzo mondo” nel quale operano i magistrati ed i pochi
dipendenti amministrativi che li coadiuvano (locali inadeguati, archivi privi,
spesso, di supporti informatici). Come possiamo paragonare la produttività di
quei dipendenti del Ministero della Giustizia con quelli di altri Paesi senza
tener conto di tali fattori?
Lo Stato non rimborsa
tempestivamente i contribuenti per i crediti fiscali maturati, è colpa della
scarsa produttività dei dipendenti o della “burocrazia” (parafulmine generico
dietro al quale si nascondono debolezze di sistema che andrebbero analizzate
singolarmente ed approfonditamente a cominciare dai problemi creati da
un’inadeguata produzione legislativa) oppure del fatto che non sono messe a
disposizione degli uffici deputati alla restituzione le risorse necessarie?
Troppo facile ed abusata è, poi,
la strategia di porre in contrasto i lavoratori pubblici con quelli privati.
Basterebbe, probabilmente, un minimo di impegno per conoscere le realtà
reciproche per capire quanto falsi siano alcuni luoghi comuni (senza, per
questo, voler minimamente giustificare o proteggere i corrotti o quanti,
volutamente, tengono condotte parassitarie) e altrettanto funzionali
all’occultamento delle reali distorsioni ed al successo di personali interessi
antagonisti (es. richieste di consulenze del tutto inutili o nomine di alti
dirigenti privi dei requisiti necessari a ricoprire l’incarico). Qualcuno
ricorda, in proposito, le dichiarazioni del celebrato manager FIAT Sergio
Marchionne in occasione dell’”imposizione” (grazie anche alla complice assenza
del precedente Governo dalla funzione riequilibratrice delle posizioni
contrattuali) del nuovo contratto di lavoro “differenziato” per i lavoratori
dello stabilimento di Pomigliano d’Arco?
In quel frangente, affermò che il
“nuovo modello” (mutuato forse da quelli in vigore nei primi anni della c.d.
rivoluzione industriale) sarebbe stato applicato al solo stabilimento campano
in ragione del significativo maggiore “assenteismo” che si registrava in esso
rispetto agli altri impianti presenti sul territorio nazionale.
In brevissimo tempo, il “modello
Pomigliano d’Arco” è stato esteso (imposto) agli altri stabilimenti nazionali.
Nella giornata di ieri, il Ministro
per i rapporti con il Parlamento Patroni Griffi ha dichiarato che
risulterebbero essere presenti, nel pubblico impiego (probabilmente si riferiva
all’Amministrazione Centrale), circa undicimila “esuberi”. Tale dato
sembrerebbe sia stato ricavato dal rapporto tra le piante organiche e gli
attuali impiegati. Taglieremo di più dove maggiore è lo squilibrio e meno dove
risultano carenze di organico, ha dichiarato. Peccato che nella Legge n. 87 del
2012 (se non ricordo male) sia disposto che, ai fini della riduzione del
personale, le “piante organiche” sulle quali effettuare i “tagli” siano
rappresentate dai dipendenti che sono attualmente in servizio indipendentemente
da qualsiasi rapporto con i carichi di lavoro individuali e collettivi (o con
le ultime reali “piante organiche”, redatte in base alle funzioni da svolgere,
ai servizi da erogare ed ai carichi di lavoro e dalle quali possono risultare
le “eccedenze” o le “carenze” effettive di personale). Mentre sostanziosi dubbi
si possono nutrire sui fini realmente perseguiti dalla strategia messa in campo
per riavviare la “crescita”, non si possono sollevare altrettante perplessità
sull’efficacia fuorviante di quella comunicativa posta in essere dall’attuale
Governo e sull’assenza, pressoché totale, di equità nelle misure da esso messe
in campo.
Per concludere, anche se non
pertinente, voglio richiamare l’attenzione sull’ostinato impegno profuso, in
questi giorni, dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) per screditare gli
interventi, in aiuto dell’euro, che sta ponendo in essere la Banca Centrale
Europea (BCE). Dopo aver minacciato, nei giorni scorsi, di escluderla anche
dalla “troika” che si sarebbe dovuta
recare in Grecia per “verificare l’operato” di tale martoriato Paese, sta
adoperandosi, con continue dichiarazioni “al vetriolo” per convincere “i
mercati” che le manovre di alcuni Stati e delle Istituzioni europee (BCE in
testa) non avranno gli sbocchi sperati. Qualche malpensante, potrebbe
intravedere un’analogia delle sue intempestive e, spesso, non del tutto fondate
valutazioni con i “pareri” emessi dalle
tre, ormai famose (purtroppo) compagnie di rating americane. Sembrerebbe che
alcuni “Organismi” internazionali abbiano “scommesso” sul fallimento dell’euro
e dell’area di riferimento.
E’ molto strano in confronto,
peraltro, il pochissimo clamore (non ho sentito nemmeno la voce dell’Unione
Europea, forse per distrazione), soprattutto in relazione alla portata della
“scoperta”, che sta avendo lo scandalo della fissazione manipolata del LIBOR (London
Interbank Offered Rate - tasso interbancario su Londra che costituisce un
riferimento per i mercati finanziari). Si tratta, in sostanza, del tasso
variabile giornaliero, calcolato, dalla British Bankers' Association, sulla base dei tassi
d'interesse richiesti per cedere a prestito depositi in una determinata moneta
(tra cui l’euro) da parte delle più importanti banche presenti sul mercato
interbancario della “City”.
E’ intuitivo il ruolo che possa
aver giocato e possa rivestire un’alterazione arbitraria dell’equilibrio sul
valore reale delle diverse divise sulla crisi finanziaria dell’area euro.
Nel ritornare al Fondo Monetario
Internazionale, nell'articolo 1 dell'”Accordo Istitutivo” sono definiti quelli
che dovrebbero essere i suoi scopi. Fra gli altri figurano: promuovere la
cooperazione monetaria internazionale; promuovere la stabilità e l'ordine dei
rapporti di cambio evitando svalutazioni competitive; dare fiducia agli Stati
membri rendendo disponibili con adeguate garanzie le risorse del Fondo per
affrontare difficoltà della bilancia dei pagamenti; abbreviare la durata e
ridurre la misura degli squilibri delle bilance dei pagamenti degli Stati
membri. In sostanza, il F.M.I. dovrebbe regolare la convivenza economica e
favorire i Paesi in via di sviluppo.
Sarei curioso di sapere quanti
siano coloro che leggendo gli scopi indicati nel citato articolo 1 e
considerando le dichiarazioni degli ultimi giorni (mirate palesemente a minare
la fiducia nella ripresa di Paesi quali l’Italia e la Spagna e,
conseguentemente, di tutta l’area euro) provenienti dall’FMI abbia ravvisato un
coerente perseguimento dei primi (con particolare attenzione agli ultimi due
obiettivi).
Oltre che procedere alla rapida
costituzione di un’agenzia di rating europea (così come ha fatto la Cina) ed a
ripensare all’indisturbata centralità che la piazza inglese ricopre per la
finanza internazionale, sarebbe opportuno, probabilmente, rimettere in
discussione il ruolo del Fondo Monetario Internazionale o, almeno, l’operato
dei suoi vertici in occasione dell’attuale crisi economica e finanziaria.
giovedì 3 maggio 2012
CACCIA AL COLPEVOLE
da manlio 3 Aprile 2012
Nel mio ultimo post avente per argomento il finanziamento pubblico dei partiti e molto altro ancora, non ho risposto se non in minima parte ad una interessante domanda fatta da Gianfranco nel suo articolo del 30 Aprile u.s., che riporto nel seguito
Nel mio ultimo post avente per argomento il finanziamento pubblico dei partiti e molto altro ancora, non ho risposto se non in minima parte ad una interessante domanda fatta da Gianfranco nel suo articolo del 30 Aprile u.s., che riporto nel seguito
. Uno degli sport nazionali di maggior successo è la “caccia al colpevole”. Spesso nel praticare questa attività siamo molto indulgenti con noi stessi e particolarmente portati all’autocommiserazione. Ma quali sono le responsabilità che gravano su ognuno di noi per la pigrizia, la distrazione e l’indulgente complicità (quando non, peggio, la compiaciuta partecipazione ad episodi minori) nei confronti del malaffare che ha corrotto il tessuto sociale e politico nel nostro Paese? La risposta che ho dato nel mio precedente post riguardava la nostra responsabilità nel non esprimere disapprovazione nei confronti del malaffare; disapprovazione che io avevo affrettatamente considerato compresa in generale nella mancanza di partecipazione. Ritengo però che questa supposizione sia stata un po' ardita e vorrei ora completare la risposta. Certamente se ci si riferisce, per questa responsabilità, alla mancata esternazione della nostra disapprovazione, quanto già detto con riferimento alla partecipazione politica è ancora valido e sufficiente. Credo però che Gianfranco volesse riferirsi al fatto che, al di là della possibilità "tecnica" di esternare tale disapprovazione, in pratica noi questo desiderio profondo di disapprovare neanche lo sentiamo, mentre siamo pronti a lamentarci che le cose non vanno affatto bene. Non solo ma qualche volta siamo anche capaci di approvare (altro che disapprovare !) qualche manifestazione di illegalità ! Alla domanda "Quanto siamo colpevoli di ciò ?" vorrei rispondere come segue. Stabilito che la democrazia è certamente un regalo prezioso che si fanno le società (le Nazioni) dotate di una cultura avanzata in cui i valori essenziali della convivenza sono il bene comune, il rispetto dei diritti, il principio dell'uguaglianza etc. etc., ciò non vuole affatto sottintendere che tali società possano vivere senza una serie di imposizioni (le leggi appunto) che rendano possibile la convivenza. Per trovare la motivazione di questa necessarietà (che potrebbe anche apparire incomprensibile) occorrerebbe tirar fuori argomenti filosofici ma io vorrei cavarmela con due semplici considerazioni. La prima è che gli insiemi fisici complessi vanno naturalmente verso il caos (ricordate l'entropia delle lezioni di fisica ?). La seconda è che, supposto che nel giorno del primo maggio quattro milioni di Romani intendano recarsi alla stessa ora in piazza San Giovanni per celebrare insieme la ricorrenza e per assistere allo storico concerto (buone intenzioni dei Romani , parafrasi dei buoni intendimenti di un popolo, conformi ai principi democratici ) e che questi Romani si muovano o andando a piedi o utilizzando biciclette, vetture private, mezzi pubblici, sicuramente ben pochi arriverebbero in piazza senza l'aiuto dei semafori e della rigida e precisa organizzazione del traffico. Tutto il discorso precedente vuole dire che il buon governo non è un'opzione in più per vivere nel rispetto delle leggi ma che è INDISPENSABILE. Nel senso che le carenze dei governanti facilmente possono produrre un sistema in cui diventa molto difficile il rispetto delle regole. Tornando alla parafrasi dei romani che vanno tutti insieme verso piazza San Giovanni, se per un errorre degli organizzatori un semaforo resta rosso trenta minuti e se un pedone alla fine non ce la fa più ad aspettare ed attraversa....certamente il pedone è colpevole di un'infrazione, certamente dovrà essere multato ma prima di lui è colpevole l'organizzazione che ha previsto un semaforo incongruente con le esigenze della mobilità. Concludo con la seconda considerazione : nel nostro Paese attualmente, sulla base di quanto appena detto, per tante piccole imprese, per tanti che lavorano in proprio, per tanti che rischiano piccoli capitali per piccoli introiti, per milioni di persone e di famiglie....essere perfettamente "legali" è davvero un'azione votata al sacrificio, è davvero un atto eroico. Chiaramente non è così per altri che si comportano illegalmente per semplice interesse. Questo e ciò che penso e vorrei il vostro parere. manlio
R
martedì 1 maggio 2012
Finanziamento dei partiti...ed argomenti correlati
L'articolo di Gianfranco del 30 Aprile scorso è pieno di interessanti argomentazioni ed inviti ad una comune riflessione che accolgo con piacere, scusandomi per la sinteticità ed incompletezza delle mie considerazioni dovute soprattutto al fatto che gli argomenti sono di grande portata. Chiedo pertanto che le mie considerazioni siano accolte soprattutto come un insieme di pensieri distribuiti forse un po' alla rinfusa ma utili per continuare questo scambio di opinioni.
Vorrei riportare brani dell'articolo di Gianfranco per facilitare la lettura .
Vorrei riportare brani dell'articolo di Gianfranco per facilitare la lettura .
a. sono essenziali, nelle dinamiche democratiche, i partiti politici come noi li conosciamo o sono ipotizzabili altre forme di organismi intermedi o, ancora, forme di democrazia diretta (come tentate, recentemente, dagli indignados spagnoli)? Io ritengo che sia ovvio che i cittadini debbano raccogliersi in associazioni, gruppi, movimenti etc. per potersi confrontare , ma che siano da escludersi i partiti come noi li conosciamo, nel senso che questi movimenti o associazioni o altro devono rimanere esclusi dalle funzioni legislativa ed esecutiva, nel senso che non devono avere un rapporto diretto nè con il parlamento nè con il governo. Il Parlamento secondo me deve legiferare come un insieme di singoli cittadini eletti perchè scelti singolarmente dal popolo. Nella loro candidadura dovranno chiaramente dichiarare il loro pensiero, la loro appartenenza ad associazioni etc ma poi nell'aula non dovranno obbedire a nessun partito ma saranno singoli individui che voteranno con la loro testa e risponderanno personalmente di ogni voto (tutte le votazioni dovranno essere pubblicate). Non ci importa nulla di come sceglieranno di raggrupparsi in aula (Sarà una collocazione direi quasi "naturale"in linea con quanto dichiarato nelle operazioni di candidatura) Ci importa che i cittadini possano SEMPRE aver la possibilità di controllare i loro interventi e le loro votazioni. (Sulle elezioni poi faremo insieme discorsi più approfonditi)
b.
c. Nel caso ritenessimo ipotizzabile, invece, la costituzione di altri organismi intermedi, quale potrebbe essere la loro natura e quali forme organizzative e di controllo potrebbero assumere? Nel caso si ritenga necessaria o opportuna l’affermazione di una diffusa democrazia diretta, come potrebbe essere, per grandi linee, organizzata? Le associazioni, i movimenti, etc. avranno forma e gestione assolutamente libera (nel rispetto del C.Civile ovviamente) in quanto del tutto staccati dal parlamento. Chiaramente NON saranno pubblicamente finanziati. Lo stato pagherà solo l'organizzazione per le candidadure e le elezioni (ne parleremo più diffusamente la prossima volta) e chiaramente pagherà il loro stipendio come importanti impiegati statali e basta!. Il termine Democrazia Diretta è quello più appropriato per esprimere ciò che penso e riguarda A. la procedura elettorale per i rappresentanti del popolo nelle camere B. la votazione diretta dei cittadini per alcune leggi da definire mediante riforma della Costituzione Su tali argomenti fondamentali ed importantissimi consentite a me e a voi (se condividerete) un'esposizione più lunga ed approfondita
d. Uno degli sport nazionali di maggior successo è la “caccia al colpevole”. Spesso nel praticare questa attività siamo molto indulgenti con noi stessi e particolarmente portati all’autocommiserazione. Ma quali sono le responsabilità che gravano su ognuno di noi per la pigrizia, la distrazione e l’indulgente complicità (quando non, peggio, la compiaciuta partecipazione ad episodi minori) nei confronti del malaffare che ha corrotto il tessuto sociale e politico nel nostro Paese? Questo è un discorso importantissimo perchè coinvolge il carattere essenziale della democrazia che è insieme il diritto di partecipare e scegliere e l'obbligo di partecipare e scegliere. E' fondamentale definire quali sono le possibilità che ha il cittadino di partecipare. Ovviamente il voto ! E va bene ? e poi ? Nel rispondere a questa domanda occorre tener presente che non siamo più in una polis greca o nella Roma antica o in un piccolo stato medievale in cui ci si raccoglieva nell'agorà, nel foro o in piazza per confrontarsi e per scegliere. Adesso se non sei d'accordo sull'ultima decisione politica del governo, sull'ultima proposta di legge, chiami a telefono un amico e ti "esprimi in modo adirato", oppure aderisci ad un'associazione politica e vai in piazza ad urlare slogan, oppure scrivi un post sul blog . No amici ! non sentiamoci in colpa perchè non abbiamo combinato nulla di "politicamente costruttivo" ma siamo stati capaci solo di "arrabbiarci". La verità è che così come stanno le cose ognuno di noi è solo o quasi solo. La televisione e la stampa sono quasi blindate. NON esiste un modo serio per esprimerci. Lasciatemelo dire.....per ora, tranne rari casi, la piazza serve solo per far sentire le urla dei perdenti (scusatemi per questa mia convinzione) Certo...vai in piazza e ti senti la coscienza tranquilla....(ho fatto quello che potevo fare !. che altro ?). Questo è il momento di trovare un'espressione comune e seria del nostro pensiero ! Amici dobbiamo pensare a confrontarci SOPRATTUTTO TRAMITE INTERNET ed a raccogliere un milione di persone !!!! Va bene... Scusate lo sfogo !!
e. Infine, allargando il discorso rispetto ai limiti tracciati nel precedente blog, quale evento rivoluzionario potrebbe, in questa fase di globalizzazione della finanza e del capitale, riportare il benessere dell’individuo e della collettività al centro delle scelte delle politiche nazionali ed internazionali? Questo è veramente un argomento importantissimo e molto complesso. Secondo me le risposte ci sono !! Ma è un discorso molto lungo che dovrebbe partire dalla considerazione che dopo la seconda guerra mondiale, dopo aver visto milioni di morti, dopo aver visto l'Europa distrutta, la nostra civiltà occidentale avrebbe avuto il dovere di riflettere a quali sono le cose più importanti della vita ed organizzarsi di conseguenza. Invece siamo stati capaci solo di convincerci che per poter dare dar da mangiare a miliardi di persone l'unico modo possibile era quello di costruire questa società basata soprattutto sulla sovraproduzione e sulla creazione della domanda !!!!!! Grazie per la buona volontà nel leggermi ! Continuiamo questi discorsi Sono sicuro che se continuiamo il confronto possiamo trovare un modo per essere in tanti e fare cose utili insieme !!! manlio
FINANZIAMENTO PUBBLICO DEI PARTITI....E NON SOLO
Puntuali, acute ed appassionate, come al solito, sono le tesi di
Andrea, Robin e Manlio che, questa volta, si sono pronunciati in materia di
finanziamento pubblico ai partiti politici.
Personalmente, pur essendo fra coloro che hanno subito il peso
dell’inganno perpetrato dai partiti politici (con esclusione dei radicali che,
da sempre, denunciano la truffa) e dai parlamentari, in quanto facente parte di
quella maggioranza che, nel 1993, ha votato contro il finanziamento pubblico,
nel blog pubblicato il 22 aprile 2012 ho volutamente evitato di sviluppare un
ragionamento ed esprimere un parere sul presupposto “finanziamento pubblico sì o no”.
I motivi alla base di tale rinvio sono stati essenzialmente due:
1) la necessità
di trovare il tempo per affrontare un problema dai contorni così ampi sul
quale, peraltro, non credo di aver ancora maturato una riflessione compiuta;
2) affrontare
l’attualità che era caratterizzata (alla pubblicazione del blog) dalla presentazione,
da parte dei partiti che sostengono l’attuale governo Monti, di una riforma per
modificare la Legge che disciplina il “rimborso
delle spese elettorali” soprattutto nella parte che concerne i controlli
sulla gestione dei fondi forfetariamente erogati dallo Stato.
E’ chiaro che, in premessa, non potevo non sottolineare l’ipocrisia di
chiamare “rimborso delle spese elettorali”
il più classico dei finanziamenti pubblici (in violazione dell’esito
referendario), così come avevo cercato di spiegare che, in quella sede, avrei
evitato di affrontare il problema dell’opportunità del predetto finanziamento.
Accetto, comunque, le critiche, peraltro garbatissime, per essere
partito dalla coda e per aver dato l’impressione di voler porre, quale tema
obbligato, la dicotomia “finanziamento
pubblico” o “finanziamento privato”.
Ferma restando la legittima determinazione nel contrastare qualsiasi
ipotesi di utilizzo del pubblico denaro per finanziare le compagini politiche
(attualmente prive, per responsabilità proprie, di minima credibilità), mi
piacerebbe stimolare, per quanto possibile, una riflessione anche su anche
altri profili:
a. sono essenziali, nelle dinamiche
democratiche, i partiti politici come noi li conosciamo o sono ipotizzabili
altre forme di organismi intermedi o, ancora, forme di democrazia diretta (come
tentate, recentemente, dagli indignados
spagnoli)?
b. Nel caso ritenessimo necessaria l’esistenza
dei partiti, quali misure si potrebbero adottare per impedire che
finiscano per essere espressione di oligarchie ristrette e rappresentino
effettivamente le idee e gli interessi della stragrande maggioranza dei
cittadini?
c. Nel caso ritenessimo ipotizzabile, invece,
la costituzione di altri organismi intermedi, quale potrebbe essere la loro
natura e quali forme organizzative e di controllo potrebbero assumere?
Nel caso si ritenga necessaria o opportuna l’affermazione di una diffusa
democrazia diretta, come potrebbe essere, per grandi linee, organizzata?
d. Uno degli sport nazionali di maggior
successo è la “caccia al colpevole”.
Spesso nel praticare questa attività siamo molto indulgenti con noi stessi e
particolarmente portati all’autocommiserazione. Ma quali sono le responsabilità
che gravano su ognuno di noi per la pigrizia, la distrazione e l’indulgente
complicità (quando non, peggio, la compiaciuta partecipazione ad episodi
minori) nei confronti del malaffare che ha corrotto il tessuto sociale e
politico nel nostro Paese?
e. Infine, allargando il discorso rispetto ai
limiti tracciati nel precedente blog, quale evento rivoluzionario potrebbe, in
questa fase di globalizzazione della finanza e del capitale, riportare il
benessere dell’individuo e della collettività al centro delle scelte delle
politiche nazionali ed internazionali?
Come potete vedere, ho preferito sottrarmi, ancora una volta, dal
manifestare un’opinione sull’interrogativo relativo all’opportunità di
impiegare risorse pubbliche nel finanziamento dei partiti. Come anticipato,
però, non ho ancora maturato un convincimento sulla preferibilità di una delle
due scelte. Mi chiedo, ad esempio, se sia logico che il mio denaro vada a
finanziare un partito che non voterei per nessun motivo al Mondo, oppure, se
sia giusto che coloro che si astengono, con convinzione e per svariate
ragioni, dal voto debbano finanziare i partiti politici.
Al contrario, però, mi chiedo pure se, apportati gli indispensabili
correttivi al sistema, il finanziamento più che destinato ai partiti sia
diretto al sostentamento ed all’affermazione di una democrazia “popolare”
(realmente fruibile da tutti) nel Paese, oppure, se ci sono, quali potrebbero essere le alternative?
L’unica strada per cambiare radicalmente il sistema credo che sia
quella rivoluzionaria e, al momento, non vedo quali forme potrebbe assumere né
quali risultati garantire.
Perché le rivoluzioni abbiano successo e siano portatrici di effettivo
ed efficace rinnovamento è necessario che siano immaginate da “visionari” e
romantici utopisti che sappiano superare ed anticipare la ragione, indirizzando
la rabbia e la disperazione sociale in senso positivo verso il perseguimento e
la realizzazione di obiettivi che la massa, spesso, percepisce solo in misura
molto confusa (e nemmeno sempre).
Al momento, ma certamente potrei
sbagliare, non mi sembra di vedere, almeno nell’italico panorama, tali
personalità. Il timore, pertanto, è che qualsiasi incontrollata esplosione di
rabbia (ripeto, in qualunque forma manifestata), priva di un progetto o di una
“visione”, possa portare a risultati disastrosi per la collettività e favorire
la reazione ed il successo di ristrettissime oligarchie “organizzate”, loro sì,
ed arroccate in difesa dei propri interessi e privilegi.
Credo, pertanto, che sia opportuno, almeno per ora, preferire il bisturi alla
clava e continuare in un percorso che conduca gli individui e le collettività
ad assumere consapevolezza di sé e degli interessi di cui sono portatori e
portatrici nonché del fondamentale ruolo che la reciproca comprensione, la
solidarietà, l’unità di intenti e la partecipazione possono giuocare contro
l’egoismo e la corruzione e per il conseguimento di un benessere giusto e
diffuso.
Roma, 30 aprile 2012
Gianfranco Serio
giovedì 26 aprile 2012
CONCLUSIONE sul finanziamento ai partiti
da manlio a continuazione del mio precedente post
A conclusione di quanto sopra e riferendomi al titolo, il Finanziamento dei Partiti, ritengo indispensabile che questo sia eliminato subito e che contemporaneamente (SE NON ORA QUANDO ?) si ricominci da zero sull'argomento della rappresentatività politica ripensando alle modalità di espressione della volontà popolare senza tener conto alcuno dell'esistenza dei partiti attuali.
Il modo può esistere, nel rispetto della Costituzione (ovviamente) .....Al solo scopo di dimostrare che è possibile, nel mio prossimo post vorrei descrivere un'ipotesi relativa a tale modalità, invitando tutti ad un pensiero comune.
Svegliamoci (lo dico anche a me stesso ovviamente).............. prima che sia troppo tardi !!!!
A conclusione di quanto sopra e riferendomi al titolo, il Finanziamento dei Partiti, ritengo indispensabile che questo sia eliminato subito e che contemporaneamente (SE NON ORA QUANDO ?) si ricominci da zero sull'argomento della rappresentatività politica ripensando alle modalità di espressione della volontà popolare senza tener conto alcuno dell'esistenza dei partiti attuali.
Il modo può esistere, nel rispetto della Costituzione (ovviamente) .....Al solo scopo di dimostrare che è possibile, nel mio prossimo post vorrei descrivere un'ipotesi relativa a tale modalità, invitando tutti ad un pensiero comune.
Svegliamoci (lo dico anche a me stesso ovviamente).............. prima che sia troppo tardi !!!!
ANCORA SUL FINANZIAMENTO PUBBLICO DEI PARTITI
Certamente affrontare il problema del finanziamento pubblico dei partiti pensando all'alternativa costituita dal finanziamento privato rende quasi obbligatorio scegliere la prima opzione ed induce a studiare, con riferimento a questa, provvedimenti migliorativi. Soprattutto di fronte all'evidente scandalo costituito dalla disparità tra spese elettorali reali ed introiti dei partiti, particolarmente grave in questo momento drammatico di profonda crisi e grandi difficoltà economiche per il Paese.
Io ritengo però che il problema debba essere affrontato in modo diverso.
Partiamo da una considerazione storico-politica certamente ardita su cui sarebbe bene avviare un utile confronto. L'Italia non si è mai dotata di una struttura di governo corrispondente realmente ad una democrazia. La repubblica proclamata dopo la fine della monarchia nel 1946 certamente fu basata su di una validissima Costituzione ma di fatto produsse un sistema di governo che corrispose e corrisponde in tutto ad una oligarchia, l'oligarchia dei partiti, del tutto simile, nella sostanza, alle oligarchie aristocratiche o aristocratiche-mercantili che avevano dominato nei secoli gli stati costituenti l'Italia prima della sua unificazione. Sto chiaramente semplificando quando utilizzo gli aggettivi "aristocratiche e aristocratiche-mercantili" ma per questa volta tralasciamo l'approfondimento storico.
Ritengo che l'organizzazione interna, il funzionamento dei partiti e la gestione del potere dopo l'acquisizione delle cariche istituzionali corrispondenti alle funzioni legislativa ed esecutiva possano configurarsi come una oligarchia, cioè un governo esercitato da pochi. Se questi pochi fossero quelli scelti veramente e consapevolmente dal popolo chiaramente non sarebbe un'oligarchia. Si può parlare di oligarchia (ed è il nostro caso) quando questi pochi sono l'espressione di una minoranza che si appropria del potere in modo illegittimo.
Io dico che questa illegittimità viene nascosta dalle operazioni di voto, eseguite in modo legittimo, ma esiste ed è dimostrabile.
L'illegittimità infatti non è e non può essere formale ma è sostanziale. Risiede nella convinzione che il nostro popolo non si sia mai appropriato, pur potendolo (dopo la proclamazione della repubblica), del diritto e della facoltà di esprimere la propria volontà politica. Riflettiamo un attimo sul fatto che la volontà di un gruppo di individui possa esprimersi solo con
1. aggregazione; 2. confronto; 3. condivisione della forma espressiva dell'opinione comune
Tutte cose che sembrano ovvie e che vengono comunemente espletate anche nelle riunioni di condominio, MA NON nella politica in quanto le sopradette attività sono (anzi sarebbero) proprie solo delle aggregazioni di individui chiamate partiti che di esse si sono appropriati usurpandole al popolo che ne è titolare.
Il fatto è che il popolo Italiano fino ad ora non si è mai reso conto in pieno di tale abuso e di tale usurpazione. In questa “ingenuità” io ritengo che risieda l'illegittimità di cui sopra.
Ma da dove nasce questa “ingenuità” ? Nasce dal fatto che il nostro popolo non ha ancora preso piena coscienza dei propri diritti (e doveri) democratici, perchè da secoli abituato ad essere governato dall'alto, perchè non erede di una rivoluzione francese, perchè nella gloriosa (lo dico con orgoglio) temperie delle lotte per l'unificazione ha dovuto, per tanti motivi, preferire l'alternativa monarchica a quella mazziniana.
Ha poi subito la dittatura fascista......Ci vogliamo anche aggiungere l'analfabetismo (non solo Italiano) di inizio Novecento ?
Tante altre motivazioni di minor portata potremmo aggiungere, per giustificare quell'”ingenuità” ! MA ORA BASTA ! Ora non ci sono più giustificazioni. Ora il nostro popolo ha il dovere di appropriarsi, finalmente, del suo diritto a decidere il proprio destino e riscattarsi finalmente dalla soggezione ai partiti consolidati, che ancora oggi si mostrano sicuri della loro forza e del loro potere, non vergognosi dei disastri di cui sono responsabili .
Siamo un popolo maturo ed intelligente, non siamo bambini bisognosi di essere condotti per mano, di essere guidati da politici che sono o decisamente corrotti e disonesti oppure sono travolti dal sistema finalizzato solo alla conservazione del potere e non al bene del Paese, così da fagocitare tutte le eventuali buone qualità possedute dai singoli.
Io ritengo però che il problema debba essere affrontato in modo diverso.
Partiamo da una considerazione storico-politica certamente ardita su cui sarebbe bene avviare un utile confronto. L'Italia non si è mai dotata di una struttura di governo corrispondente realmente ad una democrazia. La repubblica proclamata dopo la fine della monarchia nel 1946 certamente fu basata su di una validissima Costituzione ma di fatto produsse un sistema di governo che corrispose e corrisponde in tutto ad una oligarchia, l'oligarchia dei partiti, del tutto simile, nella sostanza, alle oligarchie aristocratiche o aristocratiche-mercantili che avevano dominato nei secoli gli stati costituenti l'Italia prima della sua unificazione. Sto chiaramente semplificando quando utilizzo gli aggettivi "aristocratiche e aristocratiche-mercantili" ma per questa volta tralasciamo l'approfondimento storico.
Ritengo che l'organizzazione interna, il funzionamento dei partiti e la gestione del potere dopo l'acquisizione delle cariche istituzionali corrispondenti alle funzioni legislativa ed esecutiva possano configurarsi come una oligarchia, cioè un governo esercitato da pochi. Se questi pochi fossero quelli scelti veramente e consapevolmente dal popolo chiaramente non sarebbe un'oligarchia. Si può parlare di oligarchia (ed è il nostro caso) quando questi pochi sono l'espressione di una minoranza che si appropria del potere in modo illegittimo.
Io dico che questa illegittimità viene nascosta dalle operazioni di voto, eseguite in modo legittimo, ma esiste ed è dimostrabile.
L'illegittimità infatti non è e non può essere formale ma è sostanziale. Risiede nella convinzione che il nostro popolo non si sia mai appropriato, pur potendolo (dopo la proclamazione della repubblica), del diritto e della facoltà di esprimere la propria volontà politica. Riflettiamo un attimo sul fatto che la volontà di un gruppo di individui possa esprimersi solo con
1. aggregazione; 2. confronto; 3. condivisione della forma espressiva dell'opinione comune
Il fatto è che il popolo Italiano fino ad ora non si è mai reso conto in pieno di tale abuso e di tale usurpazione. In questa “ingenuità” io ritengo che risieda l'illegittimità di cui sopra.
Ma da dove nasce questa “ingenuità” ? Nasce dal fatto che il nostro popolo non ha ancora preso piena coscienza dei propri diritti (e doveri) democratici, perchè da secoli abituato ad essere governato dall'alto, perchè non erede di una rivoluzione francese, perchè nella gloriosa (lo dico con orgoglio) temperie delle lotte per l'unificazione ha dovuto, per tanti motivi, preferire l'alternativa monarchica a quella mazziniana.
Ha poi subito la dittatura fascista......Ci vogliamo anche aggiungere l'analfabetismo (non solo Italiano) di inizio Novecento ?
Tante altre motivazioni di minor portata potremmo aggiungere, per giustificare quell'”ingenuità” ! MA ORA BASTA ! Ora non ci sono più giustificazioni. Ora il nostro popolo ha il dovere di appropriarsi, finalmente, del suo diritto a decidere il proprio destino e riscattarsi finalmente dalla soggezione ai partiti consolidati, che ancora oggi si mostrano sicuri della loro forza e del loro potere, non vergognosi dei disastri di cui sono responsabili .
Siamo un popolo maturo ed intelligente, non siamo bambini bisognosi di essere condotti per mano, di essere guidati da politici che sono o decisamente corrotti e disonesti oppure sono travolti dal sistema finalizzato solo alla conservazione del potere e non al bene del Paese, così da fagocitare tutte le eventuali buone qualità possedute dai singoli.
martedì 24 aprile 2012
Breve domanda banale
.......e se i Paesi dell'Area euro imponessero alla Germania di allentare la "morsa" o di uscire dalla moneta unica?
Angela Merkel insegue il consenso elettorale interno ma, né lei né molti suoi connazionali sembrano ricordare che le esportazioni Tedesche hanno per il 50-60% come destinazione il resto dell'Europa.
Indebolire il Continente e precipitarlo in una depressione lunga e profonda può giovare, nei tempi lunghi,
ai cittadini tedeschi?
Angela Merkel insegue il consenso elettorale interno ma, né lei né molti suoi connazionali sembrano ricordare che le esportazioni Tedesche hanno per il 50-60% come destinazione il resto dell'Europa.
Indebolire il Continente e precipitarlo in una depressione lunga e profonda può giovare, nei tempi lunghi,
ai cittadini tedeschi?
Chi ha paura di Hollande?
Molti osservatori e opinionisti internazionali hanno dato al candidato socialista all’Eliseo la responsabilità dell’ennesimo tonfo delle borse di ieri. Il timore che Monsieur Hollande possa divenire il nuovo Presidente francese spaventerebbe gli investitori ed i mercati. Addirittura lo stesso candidato si è premurato in tutta fretta a rilasciare una dichiarazione in cui afferma che la caduta dei listini mostrerebbe il timore diffuso verso il buon risultato elettorale della Le Pen e non verso il suo. Basterebbe di per sé questa affermazione per dirla tutta su chi è Hollande e sulla sua lungimiranza. Come potrebbe mai, infatti, una candidata al primo turno delle presidenziali francesi e che non potrà più salire all’Eliseo spaventare in qualche modo i mercati al di fuori della Francia (ma anche al suo interno) è un mistero degno dei migliori autori di gialli!
Ma torniamo alle paure della prima ora, quelle relative al candidato socialista. Possono avere un qualche fondamento? La risposta naturale per chiunque possieda un minimo di buon senso e di conoscenza del panorama economico internazionale è NO. Non c’è singolo stato, al momento, per quanto “forte” esso sia capace di ribaltare da solo le regole finanziarie “globali” senza che venga abbattuto e ricostruito l’attuale modello di sviluppo la cui crisi è oramai inarrestabile. Ma con Monsieur Hollande il dubbio non può neanche sfiorarci. Un uomo politico appoggiato dall’italico Bersani, complice di fatto della sostentazione convinta di banche, poteri forti e della salvaguardia dello status quo, non può certo essere un rivoluzionario e la sua preoccupazione di addolcire i mercati lo conferma. Chi volesse davvero cambiare le cose dovrebbe preoccuparsi meno delle borse e più dei portafogli dei cittadini. E invece assistiamo a continue scelte miopi e impopolari (nel senso che vanno contro il popolo) che si preoccupano di salvaguardare ben altro che il bene ed il futuro collettivo.
E poi non è neanche detto che sarà Hollande a vincere il duello finale con Sarkozy!
Buona Partecipazione a tutti.
lunedì 23 aprile 2012
Fermiamo la diligenza
I referendum tenutisi nel 1993 risentirono indubbiamente del momento storico in cui ebbero luogo e, anche aldilà dei fermi convincimenti personali, vollero colpire un sistema (allora il termine casta non era stato ancora coniato all’uopo) fatto di ruberie e corruzione dilagante da poco balzate agli onori della cronaca giudiziaria. Così sembrò aver termine il finanziamento pubblico dei partiti, ma l’illusione durò poche settimane solamente e l’assalto alla diligenza, come ben sappiamo, riprese con più vigore.
Il lauto foraggiamento della politica (così come gli stipendi di molti funzionari pubblici) è stato motivato nel tempo non solo dal sacro ruolo di cui sono investiti i partiti dalla nostra Costituzione, ma dal rendere i loro esponenti immuni da pressioni e corruttele.
Se il tempo è galantuomo, allora abbiamo ben visto che tale sistema si è dimostrato fallimentare, e se un tempo poteva aver senso garantire col denaro pubblico una pluralità di opinioni (e qui entrano in gioco anche le sovvenzioni alla stampa e all’informazione nel suo complesso), adesso che le forme di comunicazione sono le più varie e alla portata di chiunque voglia ascoltare una voce diversa da quella del padrone, è tempo di rendere giustizia a quel referendum sul finanziamento pubblico ai partiti che sta per compiere vent’anni e chiudere definitivamente quella che si è dimostrata una falla per la nave Italia.
La Partecipazione siamo noi. Se ci crediamo, se lo vogliamo.
domenica 22 aprile 2012
RIMBORSI ELETTORALI E FINANZIAMENTO PUBBLICO DEI PARTITI
RIMBORSI ELETTORALI E FINANZIAMENTO PUBBLICO DEI PARTITI
Impazza,
in questi giorni, un acceso dibattito sul finanziamento pubblico dei partiti
politici, abolito con referendum del 1993 e surrettiziamente reintrodotto (ed
aumentato negli importi) dai beneficiari grazie anche alla pigra distrazione
degli elettori.
L’indignazione crescente sembra poter travolgere il sistema stesso dei
partiti.
Alfano, Bersani e Casini hanno, nei giorni scorsi, dichiarato che “Cancellare del tutto i finanziamenti
pubblici ai partiti sarebbe un errore drammatico che punirebbe tutti allo
stesso modo e metterebbe i partiti in mano a lobbies, centri di potere e di
interesse particolare.”
Nel mondo delle idee
l’ammonimento può avere un senso.
E’ sufficiente
constatare, a tale proposito, quanto è accaduto nell’informazione con la “discesa
in campo” diretta di un facoltoso
signore, per capire quale reale (e si perdoni l’apparente contraddizione con il
“mondo delle idee” in riferimento) pericolo costituisca, per la democrazia,
l’enorme differenza di disponibilità economica fra i competitori.
Anche il diverso ed
esorbitante “peso politico” accordato, rispetto agli altri cittadini, ad
organizzazioni che detengono ingenti ricchezze (gli associati) e rappresentano
rilevanti interessi economici seppure composte da un numero di persone relativamente
esiguo (quale, ad esempio, Confindustria), autorizza l’insorgere di legittimi
dubbi, oltre che sulla qualità della democrazia rappresentativa e sulla correttezza
del “gioco democratico”, fondato
sull’attribuzione, in occasione delle elezioni politiche, di un solo voto a
ciascun cittadino (che non conserva, successivamente, lo stesso valore), sui
rischi che una società democratica possa correre a causa di un’eventuale totale
dipendenza, dei partiti politici, da sovvenzioni private.
L’esempio proveniente da
società a prevalente cultura anglo-sassone, nella crescita delle quali,
peraltro, il “puritanesimo” ha svolto un ruolo rilevante, non è rassicurante.
L’accorato
appello della “triade” che sostiene il governo in carica, tuttavia, risulta difficilmente comprensibile
e poco credibile nell’attuale realtà italiana.
Non siamo forse il Paese
nel quale è stato necessario ricorrere ad un “governo tecnico” per poter tentare di varare riforme che, in qualche modo, incidessero
anche sugli interessi delle lobbies?
Qualcuno pensa che l’opinione pubblica abbia
dimenticato l’indecoroso spettacolo offerto dai componenti delle Commissioni
Parlamentari “asserragliati” nelle aule per “evitare” l’assalto dei lobbisti in
occasione di delicati passaggi parlamentari?
Il fondato rancore si
scontra con la necessità di costruire un sistema stabile capace di garantire,
in misura sufficiente, l’indispensabile equilibrio sul quale si basa “il patto
sociale” in uno Stato democratico.
Proviamo ad andare con
ordine.
Smaltita la giustificata
rabbia per la “presa in giro” subita, chiediamoci se l’obiettivo, esclusa la
legittima tesi secondo la quale ai partiti non deve essere accordato alcun
finanziamento di nessun genere, debba essere quello di assicurare ad essi il
solo rimborso delle spese sostenute in occasione delle tornate elettorali oppure
quello di garantire loro le risorse necessarie e sufficienti per essere
presenti sul territorio, avere un contatto assiduo con gli elettori e,
soprattutto, “fare politica”.
Pur avendo votato, nel
1993, contro il finanziamento pubblico dei partiti, non voglio approfondire, in
questa sede, una valutazione sull’opportunità e sulla moralità di tale
finanziamento e sui rischi di lasciare il destino dei partiti nelle mani di
finanziatori privati. Mi limiterò, pertanto, a sviluppare un ragionamento sulle
eventuali modalità, sull’entità di tale contributo e sulle possibili garanzie
del suo corretto impiego in modo tale che dalla sua erogazione possa derivare un qualche beneficio per la
collettività.
E’ di tutta evidenza che,
nel caso si debba trattare esclusivamente di rimborsi elettorali, essi dovrebbero,
per definizione ed in ossequio alla volontà popolare espressa nel referendum
del 1993, essere concessi dietro presentazione ed in corrispondenza di
un’idonea documentazione di spesa e nei limiti di un tetto massimo prefissato.
Diverso è il caso nel quale
dovessimo riconoscere ai partiti un ruolo essenziale nella nostra democrazia e
ritenere che si possa ottenere la loro indipendenza, dai diversi “centri di
potere”, solo attraverso una controllata e misurata sovvenzione pubblica che
accompagni ogni fase della loro vita.
In questa seconda ipotesi,
credo sia imprescindibile (circostanza ben presente anche al Presidente del
Consiglio Mario Monti) una previa riforma del sistema che imponga (provo,
conscio dei limiti personali e con la consapevolezza di non poter essere
esaustivo e di rischiare errori, ad ipotizzare alcune condizioni):
-
il recepimento, di
diritto, negli Statuti dei partiti di alcune regole di funzionamento
democratico idonee a favorire il superamento delle “nomenklature” (niente “acclamazioni” di segretari, elezione di tutti i componenti
degli organismi dirigenti, idonea convocazione degli iscritti elettori, etc.),
e la partecipazione attiva dei cittadini alla politica ed alla vita dei partiti;
-
il controllo sulla
rigorosa applicazione delle predette regole (es. regolare convocazione del
Congresso, controllo sulla regolarità delle deleghe e sull’esistenza degli
iscritti, etc.) e l’irrogazione di severe sanzioni in caso di inadempienza;
-
un’assoluta trasparenza amministrativa e contabile
attraverso la certificazione obbligatoria dei bilanci ad opera di società di
revisione indipendenti, l’affidamento del controllo sull’impiego delle risorse
pubbliche alla Corte dei Conti e l’adozione di adeguate sanzioni civili e
penali in caso di violazione delle regole;
-
l’obbligo, per i partiti,
di conservazione della copia di domanda di iscrizione degli associati corredata
da quella di un documento d’identità valido ed obbligo di conferma di
accettazione dell’istanza inviata, all’iscrivendo, attraverso raccomandata A.R.,
o mezzo equivalente;
-
l’irrogazione di
consistenti sanzioni penali a carico di coloro che iscrivano ai partiti persone
inconsapevoli (“a loro insaputa”) o precedentemente defunte nonché a carico di
soggetti che dovessero, in qualità di pubblici dipendenti o in ragione degli
incarichi ricoperti, entrare in possesso dei nominativi degli iscritti ai
partiti e divulgarli senza il preventivo
ed informato consenso degli interessati o, comunque, utilizzarli o consentire
che siano usati a danno di questi ultimi;
-
un identico accesso dei
partiti alle trasmissioni di emittenti nazionali (o in caso di elezioni
regionali anche sulle locali dei territori interessati), pubbliche e private,
in prossimità delle elezioni (si potrebbe immaginare un tempo di esposizione
identico per le forze che nella precedente legislatura siedono in Parlamento ed
uno ridotto del 50% per le altre candidate) e l’applicazioni di pesanti
sanzioni economiche (multe dall’importo calcolato in percentuale sul bilancio
del partito) per i partiti favoriti e di sanzioni penali a carico dei
responsabili delle emittenti in caso di violazione grave o ripetuta delle norme;
-
di fissare un tetto massimo di contribuzione
privata ai partiti con il connesso obbligo di pubblicizzare, al di sopra di uno
stabilito esiguo minimo (per esempio, superiore al 20% della quota annuale di
iscrizione), l’elargizione;
-
il divieto di finanziare
più di due partiti diversi ogni due legislature;
-
l’obbligo, per i partiti,
di pubblicizzare l’eventuale erogazione di finanziamenti a favore di
associazioni, fondazioni, circoli o altre forme di aggregazione nonché testate
giornalistiche che non siano evidentemente e direttamente riconducibili al
partito (es. ne rechino il nome o il simbolo) o siano, di esso, gli “organi
di stampa”;
-
di prevedere la nullità
della candidatura di Parlamentari e Consiglieri regionali, per almeno una legislatura,
a seguito di precedente elezione per due mandati consecutivi;
-
di fissare la retribuzione
degli eletti sulla base della retribuzione media degli amministrati e/o
rappresentati (il parametro deve essere costituito dal trattamento economico
riconosciuto ai lavoratori dipendenti) integrata del 100% e ridotta della
percentuale di disoccupati presenti fra la popolazione interessata (con
conguaglio effettuato al termine della legislatura);
-
la reintroduzione delle
preferenze e del sistema proporzionale, con eventuale sbarramento (non oltre il
3-4%), alle elezioni politiche ed amministrative e l’obbligo di adozione delle
primarie, nei partiti, che coinvolga almeno gli iscritti ad essi;
-
l’obbligo, per gli
Organismi elettivi e per la Presidenza del Consiglio, di rendere pubblici i bilanci
redatti in forma analitica;
-
di fissare un limite di
valore per i regali accettabili da parte dei componenti degli organismi
elettivi e di governo;
-
la cancellazione a favore
dei familiari e dei conviventi dei componenti gli organismi elettivi e di
governo di tutti i benefici che non siano riconosciuti, dalla legge, ai
familiari degli altri lavoratori;
-
l’obbligo per i componenti
degli organismi elettivi e di governo di fruire, in caso di accertamenti
diagnostici o di interventi (esclusi quelli di natura estetica), delle sole
strutture sanitarie pubbliche;
-
l’obbligo di congelamento
del trattamento economico dei dipendenti delle assemblee elettive fino alla
perequazione con quello erogato dalle altre amministrazioni statali ai propri
dipendenti;
-
divieto di erogazione dei
fondi derivanti dal c.d. “decreto mancia” a favore dei partiti o di strutture private che siano di proprietà o
gestite direttamente da familiari o conviventi dei componenti delle assemblee
elettive che decidono sulla distribuzione;
-
l’introduzione della c.d.
“anagrafe pubblica degli eletti”
che prevede la pubblicazione, su internet, dei dati riguardanti le
presenze, lo svolgimento dei lavori, il prodotto realizzato, gli stipendi e gli
emolumenti di ogni tipo, le consulenze, i pagamenti, di tutti i politici eletti
e di tutte le persone che rivestano una carica politica pubblica;
-
interdizione perpetua
dalle cariche elettive, di governo o di qualsiasi Ente in caso di condanna
definitiva per “voto di scambio” o reati gravi contro la pubblica
amministrazione;
-
sospensione dalle cariche
elettive, di governo e da qualsiasi Ente nonché dall’erogazione del 50% della
retribuzione in caso di duplice condanna (sia in primo che in secondo grado e
in attesa di pronuncia definitiva) per reati contro la pubblica amministrazione
o che, comunque, prevedano pene, nel minimo, non inferiori a due anni di
reclusione.
Qualsiasi tipo di controllo esercitato su
partiti che fruiscano del finanziamento pubblico dovrà essere esercitato da
organismi i cui membri non ricoprano il proprio incarico per nomina o elezione
politica (deve trattarsi di Magistrati assunti attraverso concorso pubblico ed
indipendenti dall’esecutivo).
Sicuramente, avrò dimenticato, in questo
breve excursus, molti altri utilissimi e
penetranti strumenti di controllo e garanzia sulla gestione di organismi che,
almeno nell’attuale organizzazione democratica del Paese, credo possano
ricoprire un ruolo e svolgano una funzione difficilmente sostituibili.
Lo scopo, però, non è quello di
“salire in cattedra” e, senza averne le capacità, dettare condizioni o
dispensare panacee, ma solo quello di dimostrare che il problema risiede
nell’esistenza o meno della volontà politica di modificare l’assetto attuale,
restituire le istituzioni ai cittadini e realizzare una democrazia compiuta.
Le misure idonee per
ricreare il necessario rapporto di fiducia fra cittadini, partiti politici ed
istituzioni, se cercate seriamente, possono sicuramente essere trovate.
Allo stesso modo è
indispensabile, per la salute delle organizzazioni politiche e delle
istituzioni, la partecipazione dei cittadini alla vita politica della comunità
e, soprattutto, il loro controllo, assiduo ed approfondito, sull’operato dei rappresentanti.
Nessun giudizio, peraltro, ho voluto
esprimere sulle attuali compagini o sulle persone che le compongono e, seppure
sia convinto della presenza di numerosi malfattori, non mi unisco al coro di
astiosa generica condanna che finisce, inesorabilmente, per coinvolgere anche
persone oneste che, comunque, a differenza di quanto, ad esempio, ho fatto io
negli ultimi anni, hanno avuto il coraggio di “sporcarsi le mani” e di impegnare risorse ed energie nella vita pubblica e nel
perseguimento del benessere comune.
La pigrizia, la
distrazione, la stanchezza e la supponenza di tutti noi, non dimentichiamolo,
generano lo spazio vitale nel quale i farabutti prosperano.
Vogliamo immaginare un
nuovo “Processo di Norimberga” che
giudichi anche le nostre non sempre giustificate ed incolpevoli “assenze”?
Nessuna misura può
garantire di per sé stessa, nel tempo, assoluta impermeabilità nei confronti
della corruzione e del malaffare né, tantomeno, proteggerci da presuntuose ed
avide incapacità, solo la PARTECIPAZIONE di ognuno di noi può fungere da
antidoto assicurandoci, al contempo, un’adeguata selezione dei rappresentanti.
Mai più “ghe pens
mì” ma, ora e sempre, PARTECIPAZIONE.
Roma, 19 aprile 2012 Gianfranco Serio
Iscriviti a:
Post (Atom)