Stiamo, probabilmente, assistendo al "canto del cigno" della Lega Nord.
Disperatamente il partito di Bossi, non senza contrasti ed incertezze interne, sta cercando qualche argomento ed il successo in qualche "confronto muscolare" che possa costituire un segnale, per gli elettori, della sua esistenza in vita.
Il giocattolo si è rotto irreparabilmente.
Il tentativo di conciliare la riduzione delle imposte con il rigore nella tenuta dei conti pubblici è destinato a fallire. L'ipotizzato parallelo aumento della pressione fiscale indiretta, oltre a causare una contrazione dei consumi in un Paese che stenta ancora ad uscire definitivamente dalla recessione, graverebbe, ulteriormente ed insostenibilmente, sulle fasce più sofferenti della popolazione. Qualora, poi, la manovra fosse limitata ai generi di "lusso", oltre a peggiorare la competitività delle imprese che preducono nel Paese, risulterebbe scarsamente significativa.
L'operazione, comunque, si farà e lascera inutili vittime sul terreno a cominciare dai dipendenti pubblici.
La crisi della Lega Nord, infatti, non affonda le proprie radici, come i vertici del partito intendono farci credere, nella delusione degli elettori per la mancata riduzione del gravame fiscale imputato - comodo alibi - alla difficoltà economica e finanziaria internazionale, quanto, piuttosto, nel venir meno del legame che si era innaturalmente formato con la classe operaia del Nord Italia.
L'emorragia di consensi, a fronte di rosee (e cannibali) previsioni di successo, riscontrata in occasione delle ultime elezioni amministrative, è dovuta al venir meno dei voti di quegli operai, che, stanchi dell'inconsistenza e dell'inefficacia della tutela sindacale e dei partiti della sinistra, si erano illusi di poter trovare nel Carroccio un riferimento ed un baluardo capaci di metterli al riparo dai rovinosi effetti della crisi che attanaglia il Paese.
L'individuazione, poi, di un "nemico" esterno costituito, di volta in volta, dagli immigrati che sottraggono posti di lavoro o dai "parassiti" del Centro e del Sud d'Italia colpevoli dei rovesci nazionali, aveva costituito la classica "chiusura del cerchio".
Alla prova dei fatti, gli operai hanno dovuto prendere atto che la Lega Nord, inossidabile alleata di Silvio Berlusconi e del PDL, sceglie, in caso di conflitto, di sposare gli interessi di quello che, una volta, veniva definito "il padronato" e non certo i loro.
Gli esempi, a cominciare dalle imposizioni che i lavoratori hanno dovuto subire dalla FIAT (non solo, come aveva affermato Marchionne all'inizio della vicenda, a Pomigliano ma anche a Mirafiori), non mancano. Nelle "lotte" per il diritto al lavoro ed il rispetto della dignità dei lavoratori, la Lega non è mai stata con questi ultimi.
Improvvisamente, i lavoratori si sono risvegliati ed hanno capito che la loro "collocazione" era e rimaneva quella di sempre e che la difesa dei diritti e dei propri interessi passava attraverso l'autorganizzazione, l'impegno di alcune categorie della CGIL ed i sindacati c.d. "antagonisti".
E' apparso chiaro che il "nemico" non è l'immigrato, più disgraziato di loro od il lavoratore del Centro o del Sud del Paese che si dibatte con gli stessi problemi e le medesime angosce, ma quello di sempre, che mascherava, questa volta, l'egoismo e la rapacità sociale, dietro l'affermazione di agire nel loro interesse mentre, di fatto, li precipitava in una condizione analoga a quella vissuta ai primi del Novecento.
Un marginale ruolo, nel rifiuto della Lega, peraltro, può averlo giocato l'inatteso ritorno, come un boomerang, della campagna di paura che è stata alimentata negli ultimi anni.
La manifesta incoerenza con la quale il "Senatur" ha dovuto approvare, per salvare l'imbarazzante alleato e dopo aver ripetutamente invocato la "tolleranza zero" contro qualsiasi forma di illegalità, leggi che, oggettivamente, hanno riaperto (o, per quelle in itinere, promettono di riaprire) le porte delle patrie galere, senza alcun filtro, a soggetti che possono essersi macchiati di reati anche gravi e che sono potenzialmente pericolosi, non ha certo giovato all'immagine dei "duri e puri" del Nord. Nessun obiettivo, nemmeno la sbandierata panacea del federalismo, sul quale, peraltro, anche le associazioni artigiane del Nord iniziano anutrire dubbi, può giustificare gli inaccettabili compromessi cui è giunta la Lega.
Ma è soprattutto dalla ritrovata consapevolezza operaia che nasce l'insanabile crisi della Lega Nord ed è proprio per questo che, probabilmente, si rivelerà molto più grave di quella che affligge il PDL.
1 commento:
Come sempre, un’interessante ed intelligente analisi, quella proposta dal Troglodita.
Quanto ai timori di un probabile attacco ai pubblici dipendenti, non posso che non condividere le sue giustificate preoccupazioni. Proprio qualche sera fa mi è capitato di ascoltare il ministro dell’Economia, intercettato radiofonicamente all’uscita da un incontro a palazzo Grazioli, che con fare piuttosto nervoso anticipava, senza scendere nei dettagli, la necessità di un intervento decisamente impopolare per “raddrizzare” i conti pubblici. Purtroppo governi cosiddetti “socialisti” di paesi che stanno vivendo una crisi economica e sociale più accentuata della nostra hanno già indicato la strada, decidendo di ridurre la spesa pubblica con un incisivo taglio alle voci più significative in termini di costi, senza tener conto dei riflessi sociali delle loro sventurate manovre. Tra le ipotesi che ho sentito sussurrare vi è quella, ad esempio, di una “sospensione” delle tredicesime nel settore pubblico. Ma, aldilà di come potrebbero concretizzarsi tali interventi, i ministri economici stanno dimostrando di “navigare a vista”, non riuscendo a visualizzare un arco temporale più ampio dell’immediato domani e ignorando i risvolti di provvedimenti che un buon diplomando ragioniere, che avesse a cuore il bene comune e non le tasche di pochi, saprebbe diversamente emanare con più ampie possibilità di buona riuscita.
Posta un commento